Gusto menta

Zucchero con cuore di menta – di Chiara Bonechi

Sul gusto: preferisco il dolce

Un vassoietto invitante sul tavolo ospita dolcezze.

La voglia di assaggiare, non per fame ma per gola si fa sentire.

La mano si muove dove lo sguardo si dirige, una pallina coperta da granella di zucchero stuzzica il mio palato.

L’afferro e la porto alla bocca: dolcissima, lo zucchero si scioglie lentamente, assaporo.

Ma il cambio di gusto, quasi repentino, delude le mie papille.

Sotto lo zucchero è menta, la sensazione di fresco aumenta, l’aria prepotentemente penetra nelle narici, scende nella gola, riempie i polmoni e non puoi fare a meno di seguire il suo percorso che trascina nel corpo quel sapore forte e inconfondibile che dalla menta esplode.

E mentre la pallina continua a sciogliersi e i polmoni sembrano ingigantirsi sento di aver toccato il massimo di questa essenza.

Preferisco il dolce.

Gusto nonna

La nonna nella scatolina – di Tina Conti

Deve essere mela, mela secca, la mastico con i denti davanti, sento meglio il sapore fresco, rassicurante, conosciuto come quelle  delle meline che in estate vedevo infilate in una collana e appese a seccare alla finestre della casa della nonna.

Servivano in inverno per curare la tosse, bollite in poca acqua e come contentino per i bambini noiosi.

Questo, è  un sapore godurioso, mescolato a sensazioni farinose, dolci, di biscotti non biscotti, gustato a occhi chiusi sprigiona benessere e appagamento, ma colpevole anche di attacchi di golosità incontrollata ,quando ti accorgi che la scatola è subito finita ma non ti sembrava.

Dalle prime sensazioni, dalla forma, e dallo zucchero sopra  si rimane sospettosi. Poi, la scossa della menta forte, come le valda della scatolina rotonda che trovavo nel grembiule  di Cesarina in inverno.

Le volevo sempre, forse per quel poco  zucchero che ricopriva quelle caramelline verdi  che sputavo disgustata dall’odore  forte e pungente.

 Ma che fascino quella scatolina di latta. Mi capita di comprarla anche adesso, non so perché, forse per ritrovare il mondo e i profumi  della fanciullezza, momenti belli e caldi, come il sapore delle frittelle di riso, del pane nel forno a legna, dell’odore dei rami di olivo bruciati nei campi a fine inverno.

Gusto frittella

Le frittelle – di Anna Meli

Succede a volte che sentendo un odore particolarmente gradevole, questo ci riporti indietro nel tempo e ci faccia rivivere momenti più o meno felici. E’ tempo di carnevale e non è raro passando per le strade di paese sentire un odore che ci stuzzica il naso e ci fa venire l’acquolina in bocca: odore di frittelle.       Ricordo che la mia mamma usava farle per San Giuseppe. La mattina si alzava molto presto per friggerle perché, diceva, non ci voleva fra i piedi, ma quell’odore di vaniglia ci svegliava prima delle sue previsioni e l’assaggio era d’obbligo.

            Avevano un sapore-odore a dir poco divino e se fosse stato per noi, non sarebbe finita lì, ma lei con fare autoritario ci rispediva  a letto dicendoci che si sarebbero potute mangiare solo nel tardo pomeriggio. Ed era così che venivano servite in capienti vassoi di porcellana a parenti ed amici arrivati apposta per l’occasione.

            Ho avuto altre volte l’occasione di mangiare le frittelle, ma non buone come quelle, sarà forse perché quel sapore, quell’odore era un tutt’uno con l’allegria, l’amicizia, il gioco e la gioia di stare insieme.

Gusto d’amore

Sul gusto e sull’amore. – di Luca Di Volo

Amore: cinque lettere impossibili .Interi volumi per concludere , se si vuol essere onesti, che non si sa dire cosa sia. O, meglio, se qualcuno non me lo chiede lo so..se qualcuno me lo chiede..non lo so più.

Ma su una cosa tutti sono d’accordo: sul fatto che riempie tutti i sensi, nessuno escluso. Una convinzione che forse è la miglior definizione per questo misterioso agitatore…non molto soddisfacente, per il vero…Dante c’è andato più vicino, secondo me: ”la bufera infernal che mai non resta”, se ci togliamo “infernal”..mi sembra che l’amore come “bufera che mai non resta” si avvicini di più all’indefinibile personaggio, soprattutto perché anch’egli , come un vento violento penetra, ottunde, agita e occupa tutti i nostri sensi..nessuno escluso.

Cominciamo dalla vista..qui la cosa è  ovvia: l’oggetto amato riempe tutto l’orizzonte per chi ama, alcune frasi descrivono bene la sensazione:  ”sei tutto il mio mondo…non vedo altri che te…” antiche più del mondo o forse “prima “ del mondo.

Che anche l’udito sia coinvolto è altrettanto banale: le poesie sono piene di canti cristallini evocati dalla persona amata e che l’amore suggerisce.

L’olfatto: anche lui ingannevolmente facile..profumo di rose, selvaggio aspro odore di alba sul mare..e così via..

Il tatto..questo meglio lasciarlo stare..sembra quello più coinvolto anche se non è detto sia sempre così..

Rimane il gusto ..a prima vista lo si direbbe poco o nulla interessato. Ma riflettiamoci..già: quante volte abbiamo sentito dire (o abbiamo detto)”ti mangerei di baci”, ”ti prenderei a morsi..”, ”i bambini grassottelli “sono da morsi..” e via così…

Forse un’evocazione di un atto di primitivo cannibalismo? Non si sa..di recente la psicanalisi ci ha rivelato che “mangiare qualcuno” è un modo per possederlo “totalmente”..e l’amore non desidera altro: di due persone farne una sola.

Però noi non siamo (o non siamo più ) cannibali..E poi ci sono infiniti tipi di amore, da quello più comune e che va per la maggiore, ovvero l’amore erotico, per il quale desta il gusto di cioccolata (ah la Nutella di Salviniana memoria..).

Ma a pensarci bene, si ama sempre, in continuazione e ogni tipo ha il suo sapore: le nipotine? Inebriante sapore di menta fresca…..gli animali? Sapore di mirtillo dei boschi..

Oddio, c’è anche il contrario…una multa? Sapore acido..una delusione? Sapore amaro…ce n’è per tutti: gusto di caramelle, di mele, di sole…sempre amore, amore per tutto ciò che esiste..e noi ne siamo parte..compresi i nostri nervi gustativi.

Gusto libro

Il sapore di un libro – di Sandra Conticini

Il babbo aveva “Cronache di poveri amanti” tutto sciupacchiato nel comodino, che comunque conservava gelosamente.  Ogni tanto lo prendevo e lo odoravo. Come mi piaceva quell’odore!!! L’ ho ritrovato di recente e non ho avuto cuore di buttarlo, c’è ancora, dentro, nelle pagine sfogliate, tutto il gusto delle nostre lontane giornate, passate insieme.

Gusto delusione

LA NOCCIOLA TRADITRICE – di Simone Bellini

La delusione ti prende di sorpresa, inaspettata, ti atterra, abbatte le tue aspettative, come una nocciola che nella penombra si rivela mentina dal retrogusto di canfora.

Devi distogliere la tua attenzione da questa esperienza, rimediare addolcendo velocemente questa amarezza aggrappandoti al primo bastoncino al cioccolato che trovi.

Ma superare la delusione non è facile! Ti ha lasciato un sapore forte che cerchi di lenire con il salato del bastoncino per poi abbandonarti alla scioglievolezza del cioccolato annientando la canfora della mentina . Dopodiché……TUC……..il colpo finale con il dolce salatino!

Sono battaglie che danno più sapore alla vita; vincere le delusioni!

Gusto miele

Un cucchiaio di miele – di Cecilia Trinci

La mattina è ancora fioca mentre apro il barattolo, uno degli ultimi in questo anno avaro di miele. Faccio una leggera forza sul tappo liscio e …clac, lui si apre su un piccolo mare giallo chiaro, compatto e lucido, in cui il cucchiaino fa fatica a scendere mentre sale leggero un delicato profumo. Il cucchiaino scava e stacca una scheggia d’ambra che poi  stendo sulla fetta biscottata, piano. Lui, il miele di millefiori, si stende sciogliendosi subito in un filo trasparente che poi finisce in bocca in piccoli morsi. La lingua deve arrotolarsi più volte per srotolare la gruma, subito dolcissima, pastosa, mielosa appunto, e piano piano si sprigiona, esplodendo in bocca, un infinito profumo di fiori. Tutto il prato di giugno (trascorso) trafitto di piccoli fiori calpesta i denti e la lingua, lascia scie fiorite esplosive in ogni angolo della bocca, sale su, fino al cervello, facendomi affogare nell’infinito di mille pistilli odorosi, di mille colori, dal giallo dei ranuncoli, al blu dei miosotis, al rosso dei rosolacci, al rosa del pesco e al rosa del melo. E poi sento il bianco dei ciliegi e il viola dei glicini e l’arancio delle calendule e il tocco del gelsomino e le sfumature dei limoni e dei cedri e il celeste della malva e del rosmarino…..e tutta la giostra dei “fiori di giugno” fa festa in un solo attimo di miele sulla lingua.

Gusto di nebbia

Gusto di nebbia – di Nadia Peruzzi

Il treno corre veloce nella pianura. I vetri dei finestrini gocciano rivoli d’acqua che fan velo al paesaggio. Niente ti distrae da te stesso. Frammenti di realtà si incuneano nel tuo sguardo ma sono solo lampi fuggevoli di case, di vite,  di calore familiare che intuisci attraverso le tendine degli appartamenti che quasi arrivi a toccare, tanto sono stati costruiti a ridosso della ferrovia.

Dalla pioggerellina alla nebbia il passo è breve. Sembra che tutte le gocce sia siano strette in un muro di cotone soffice . Alla nebbia ti abbandoni. Ti piace per il suo abbraccio avvolgente e delicato che apre una porta su un mondo quasi irreale. Sparisce tutto, tutto si ottunde. Di lato solo un muro bianco che sembra non avere fine.

La pianura padana è così. Umida, piatta, piena di vapori e in inverno e in autunno gioca a nascondersi sotto un immenso piumino bianco.

Nel caldo del treno ti rilassi. Il bianco fuori ha un che di ipnotico. Induce sonnolenza.

Scopri di aver dormito perché quando riapri gli occhi ti trovi nel regno della luce. Tutto brilla e risalta colpito dai raggi di un sole birichino che gioca con le gocce d’acqua depositate sull’erba e sulle foglie degli alberi.

Di fronte a te un ragazzo trae da un pacchettino minuscoli pezzi di un frutto esotico essiccato, che profuma d’oriente.

Riappare un ricordo. Il mercato delle spezie ad Istanbul col suo via vai, i suoi profumi, i suoi sapori, la sua confusione. Un ricordo che fa bene.

Il ragazzo chiude gli occhi appagato da ciò che sta mangiando. Sereno, rilassato, con un accenno di sorriso.

Quel sapore e quel profumo devono aver risvegliato più di una luce anche nel suo mondo. Forse un viaggio, forse una ragazza incontrata chissà dove, chissà quando.

Distolgo lo sguardo. Cerco attraverso il finestrino il paesaggio assolato che ci ha accompagnato per un po’, ma è tornata la nebbia a far muro lungo i finestrini e con lei nuovamente il torpore che induce il sonno.

L’aroma speziato di quel frutto esotico perde forza fino a sparire del tutto.

Il sonno adesso è senza sogni, ed è un vero peccato! 

Profumo di amicizia

Il sacchetto trasparente – di Patrizia Fusi

Un sacchettino trasparente, legato con cura con un nastro rosso, è il pensiero natalizio che mi dona una carissima amica. E’ pieno di biscotti di tante forme: stelle, lune, cavallini, fiori. Sanno di spezie, cannella, pepe, chiodi di garofano. Si sciolgono in bocca davanti a un buon caffè e una chiacchierata con gli amici della piscina.

Sanno di buono, di feste, di sorrisi. Di risate e amicizia

Spezie e ricordi

ODORI, PROFUMI – di Mimma Caravaggi

L’odore che sale all’improvviso vola nel vento, mischiandosi nell’aria e ai ricordi: ritornano quelle strade piene di profumi e spezie, di tutte le volte che sono stata in Turchia, dove privilegiava l’odore del thè di mela. Veniva offerto non solo ai turisti ma a chiunque, in ogni negozio dove trovavi un caldo sorriso ed una bella accoglienza, dove venivi rispettato e accudito perché eri un possibile compratore. Le strade erano piene di personaggi di qualsiasi età che trasportavano enormi vassoi  con tanti bicchierini di vetro dalla forma sinuosa ed elegante, che facevano dondolare come una lenta altalena,  affrettandosi verso i negozi  affinché la buona bevanda ristoratrice, arrivasse calda e profumata. Il suo profumo di mela  ti raggiungeva ovunque e le narici si riempivano del sapore come lo avessi già gustato. Era bello fare shopping ad Ankara o Istambul, ti sentivi protagonista. Tutti i negozianti ti invitavano ad entrare ma senza insistenza solo con un gran sorriso e con grazia. A volte mi sentivo quasi in colpa per essermi lasciata dietro uno di loro. Inoltre c’era l’esposizione della merce in grande quantità. Gli occhi venivano attratti  dalle luci, dai colori o dai profumi intensi e si perdevano, a volte spaesati dal gran luccichio di oggetti preziosi d’oro e d’argento, ma non si stancavano mai, pur fermandosi passo dopo passo a guardare le tante vetrine di ogni genere, dai bar per gustare qualcosa di ben caldo ai negozi di generi alimentari, pieni di odori speziati, alle gioiellerie con l’Occhio di Allah che vigilava su tutto e tutti, all’abbigliamento. Un tripudio di cose, colori, luci e profumi che inebriavano. Le strade erano piene di vita, di grida e di gioia pur nella povertà. Se i negozi molto accattivanti ti incuriosivano e ti attiravano, i negozianti erano bravi nella contrattazione  accompagnando  sempre l’acquisto con  una storia vera o inventata ma che ti teneva incatenato lì nel negozio fino alla fine. La mia visita ad Ankara ed Istambul e in Cappadocia sono le vacanze che ricordo ancora e sempre molto volentieri. Ho visto cose bellissime e provato il gusto orientale dei ristoranti che mi hanno colpita molto perché non mi aspettavo, venendo dall’Italia, di poter mangiare così tanto buon cibo, un’esplosione di sapori semplici ma ottimi. La loro frutta e le loro verdure non avevano, all’epoca, mai sentito un pesticida erano piccoli, bitorzoluti, bruttini esteticamente ma il loro sapore mi ha riportato indietro nel tempo quando anche noi mangiavamo verdure e frutta di stagione non ancora contaminate dai pesticidi. Così ricordo la Turchia dove anche se con gran rammarico e tristezza ho lasciato Vera, mia madre che lì ha vissuto i suoi ultimi anni. E’ lì, seppellita in un gran cimitero pieno di verde con accanto una maestra di musica. e sopra alla sua tomba possono sostare gli uccellini a bere. Quando è morta è stata trattata con abluzioni d’acqua e lavande profumate, come è tipico dei loro morti.

Così risento la Turchia, i suoi sapori, i suoi odori… i miei ricordi.

Odore di popolo

Odore di popolo – di Carla Faggi

Sono in una piazza piena di gente.

Tanti odori diversi tutti insieme. Li sento tutti, alcuni li riconosco, sono vicino a me.

Altri si mescolano, arrivano da lontano, creano solo confusione.

Tutti questi odori mi stancano, decido di tornare a casa.

Sono stremata ma appena sento i miei odori familiari mi rilasso. Li riconosco tutti, uno per volta, tranquillamente.

Rifletto, ricordo, attorno a me stimoli e pensieri.

Penso ai posti che ho visitato, ai loro odori. Ogni popolo, ogni luogo, ogni cultura ha il proprio odore, di cibo, di clima, di religioni. Odore di popolo.

Profumo di Sicilia

Profumo morbido – di Roberta Morandi

Quei biscotti racchiusi nel barattolo appena aperto, lasciano una scia profumata di cannella e mandorle che mi portano a Palermo, in una delle tante pasticcerie dove si produce la martorana, una pasta di mandorle che a mangiarne troppa risulta stucchevole, ma se la assapori a piccoli morsi ti porta al settimo cielo del gusto. La sua morbidezza al tatto è pari alla sua scioglievolezza  un po’ granulosa al palato. Un peccato di gola colorato di impossibili sfumature e forme. Un godimento unico e se chiudi gli occhi mentre odori e poi assapori ti porta fin nel grembo materno… salvo poi svegliarti con mille sensi di colpa.

Profumo lontano

Pot-pourri – di M.Laura Tripodi

Non è una cosa sola. Sono tante, mescolate, imbrigliate e confuse. Eppure ciascuna di esse è particolare e nasconde una sua essenza. Come coriandoli in un sacchetto, come frammenti di vita che si incontrano e si scontrano, ma rimangono sempre inconfondibili nella loro unicità.

In quel suk, ad Aleppo io mi ero persa. Pare che sia il più grande mercato del mondo. Centinaia di straduzze coloratissime che si intersecano tutte uguali, piene zeppe di mercanzia e di persone.

Io non trovavo più gli amici.

Calma, ci voleva calma. Ma io ero nel più completo panico.

Mentre cercavo di controllare il battito impazzito del mio cuore, non so come, in quel baluginio di colori, fra odori forti e sconosciuti, un aroma mi ha colpita con dolcezza, completamente estraneo a quel luogo così lontano da casa.

Ivoire di Balmain.

Era il profumo che usavo quando Enrico era piccolo, ma poi non è più stato importato in Italia.

Dopo moltissimi anni  un’amica lo ha trovato a Parigi e me lo ha regalato.

Enrico, ormai uomo fatto, dandomi un bacio ha esclamato: “Che buon profumo di mamma!”

Profumo di the

Bianca – di Carmela De Pilla

Era diventata un’abitudine per Bianca affacciarsi alla porta a vetri che dava sul giardino per assistere ogni volta a uno spettacolo nuovo.

Quella mattina mentre  preparava il the vide distrattamente quei colori e ne fu rapita, l’alba si era appena affacciata lungo i profili sensuali del Pratomagno, il rosa intenso si intrecciava con il rosso rubino e il giallo faceva capolino per confondersi con il bagliore del cielo.

Bianca ne rimase talmente affascinata che, ancora in pigiama, si diresse verso il centro del giardino per lasciarsi avvolgere da quella bellezza.

Guardava con meraviglia, ma dove guardava? Nel vuoto di quell’immensità.

I suoi pensieri volavano liberi verso quella luce profonda, appassionata e i sogni si accavallavano senza nessuna logica.

Quanti sogni!  Aveva bisogno di sognare Bianca, soprattutto ora.

Poi la brina fredda e pungente la scosse e stretta nelle spalle dal freddo si avviò verso l’uscio, non era nemmeno entrata che si sentì pervadere dall’odore del the ancora fumante lasciato sul tavolo, persino la cucina era stata penetrata da quel profumo di menta e alloro che lei stessa faceva essiccare nella stagione giusta.

Al caldo ritrovato e accogliente si abbandonò a quel piacere e si lasciò coccolare per avviarsi verso una nuova giornata.

L’aceto vero

Perfume de vinaigrette – di Rossella Gallori

Chi l’aveva conosciuta giovane parlava di una ragazza dalla femminilità prorompente, di una “bimba deh!” molto elegante, di una signorina di famiglia benestante, che suonava il piano ed  aveva pure la governante, una che adorava il bluette in tutte le sue sfumature, preferiva le scarpe décolleté, meglio se di camoscio, che indossava anche per andare a scuola, con le calze con la cucitura, la vita stretta da alte cinture rivestite della stessa stoffa dello chemisieur , sempre un po’ troppo scollati….una ragazza che profumava di Crepe de Chine….di una casa immensa piena di donne: nonne, tate, zie, bisnonne, sorelle, insegnanti, si narrava pure di uno chauffeur ….

Poi….poi  arrivò quella “magica primavera del 38” che la vide innamorata persa, e sposa dopo pochi mesi, ignorando un futuro funesto ed annunciato…

Si trovò così, la Giulia, da via Strozzi a piazza Muratori…abbandonò il rullar delle carrozze, per il rumor del treno…. con quei suoi 18 anni ..marito, figlio, suoceri, silenzio ed un po’ di miseria, tanto per gradire, e quell’odore di aceto vero, di un rosso ormai sconosciuto, in una casa lunga ed un po’ razzista, aceto, per sgorgare, per dare il cencio, per cucinare….come fece per la povera lepre uccisa dalla 1100 grigia del babbo, che scuoiò piangendo, e preparò in “ dolce e forte” come piaceva ai Gallori, e la servì sul tavolo di marmo che era un po’ rosa e sapeva anche lui d’aceto….e non mise la tovaglia, che per mia madre era bestemmiare….e lo raccontava a me, che non ero testimone dell’epoca, lo raccontava sorridendo… perché poi, sai, tutto andò peggio….

Si tutto fu  fiele…e quell’aceto forse fuggì con lei…altro che Crepe de Chine…nella cantina della vigna a San Casciano, dove si rifugiò durante la guerra, con la pancia che cresceva e due bimbi da accudire…

Po, poi finì tutto, la casa, le persone, un po’ anche i sentimenti…ma riapparve l’aceto…che era Cirio ed aveva un altro colore…e la bottiglia si buttava via…e nessuno investiva più lepri…e la 1100 grigia  era svanita,….i ricordi avevano odori che nessuno aveva voglia di ricordare…e che ritrovo ora io, ma non son più schiaffi, ma carezze….

Aceto…..più o meno

Piacevolmente aceto – di Chiara Bonechi

Non è il vento ma un pentolino sul fuoco che emana profumo, un misto di forte e di dolce che solo quando è ben bilanciato è perfetto.

Si tratta del pentolino dove si sciolgono una parte di aceto, una parte di acqua, cioccolato fondente, zucchero, pinoli, uvetta, cedro candito, miscela che darà quel gusto eccelso alle carni in dolce e forte.

Avvicino il naso fino ad agguantare il vapore che sale mentre il tutto bolle.

Se l’odore è troppo pungente bilancio con altro zucchero la quantità di aceto in eccesso; al contrario, se quel profumo pungente che penetra nelle narici e poi per la gola fino a farti tossire non si fa sentire, è il caso di aggiungere aceto.

Odore invadente

Disperazione ossessionante – di Sandra Conticini

Già era un periodo abbastanza disperato di suo. Quell’estate, poi, eravamo state anche assalite! Tutte e due! nonostante si fosse state attente e si guardasse sempre bene dove mettevamo i piedi. Ma quel campeggio era pericoloso, non lo avevo calcolato, anche se me lo avevano detto in diversi di non abbassare mai la guardia. E così tutte e due fummo prese! Nello stesso giorno, nello stesso modo e da allora il problema diventò il nostro segreto, la nostra ossessione, la nostra disperazione costante. Lavavo tutto tutti i giorni eppure nulla, non si riusciva a dimenticarci di loro.

Poi mi ricordai del rimedio della nonna: aceto bollito e passato, con il cotone, ciocca ciocca e su tutti quei ricciolini fitti fitti. Nonostante la paura che l’odore di aceto si sentisse, continuai per parecchi giorni, ma loro, i pidocchi, non se ne andarono.

Era diventata un’ossessione che, per fortuna, se la portò via Babbo Natale!!!!