Crollo in galleria

Crollo in galleria – di Ivana Acciaioli

Guglielmo aveva vent’anni quando  partì per la guerra e affrontare la vita di soldato in Africa fu davvero dura. Aveva lasciato la famiglia e Bruna la giovane fidanzata  di diciassette anni, portando negli occhi il suo bel faccino dai lineamenti delicati e armoniosi.
Tutti gli uomini del paese lavoravano alla costruzione della direttissima Firenze-Bologna.
Tra Vaiano e Vernio  si sentivano rimbombare   colpi dal buco nero della galleria, erano  stangate metalliche, ritmate, talvolta  stridenti, date con forza da braccia robuste allenate fino ad allora al lavoro nei campi, che seppure duro, in quel buio umido e polveroso, appariva come un ricordo di libertà. Niente era paragonabile allo sferrare colpi sulle fredde rotaie, il ruggire del martello contro il ferro provocava scintille che non erano  certo sprazzi di gioia.
Bruna ogni giorno si recava in galleria per portare il pasto al babbo e allo zio. Si inoltrava malvolentieri nell’oscurità, il rumore di ferraglia la stordiva e impauriva. Quel giorno con in tasca la foto del suo Guglielmo ritratto nel deserto, non poteva sapere che sarebbe rimasta sotto il crollo e il suo bel visino sfigurato per sempre.
Fu uno degli incidenti peggiori, una vera tragedia, il potente fragore della montagna che si ribellava alla mano dell’uomo  superò tutte le percosse inferte.
Il padre di Bruna morì, lei restò sfigurata. Non osava più aspettare il ritorno del suo amato.
Guglielmo tornò completamente calvo penalizzato dal sole del deserto.
Due giovani vite colpite, trasformate.
Si sposarono forse più per impegno che per amore.
Non mi sembrarono mai veramente felici quei miei zii.

Scivolare sui vetri

Scivolare sui vetri – di Patrizia Casati

Quando ero piccola, vicino a casa mia, alla Repubblica, c’era una fabbrica di lenti per occhiali. Ricordo che insieme alle mie amiche e amici,  si scivolava sulle lenti che venivano scartate giù nel Mugnone perché rotte e non utilizzabili per gli occhiali. Erano tantissime e noi sopra  ai cartoni ci si lasciava andare su quelle montagne di vetri come fossimo sulla neve!

Per noi era un piacevolissimo scivolone nel Mugnone e il rumore strano, vetroso che  ho sentito me lo ha ricordato.

Rumori in galleria

Rumori in galleria – di Tina Conti


Una galleria con una luminosità lontana,

acqua per terra, qualcuno che cammina con difficoltà

non si capisce bene chi sia, porta abiti laceri e  scuri,

ha i piedi incatenati, sbatte, picchia, si trascina.

tenta di liberarsi delle catene .

Picchia con pietre che si sbriciolano come vetro.

insiste, insiste, poi sparisce,

chi era  quell’uomo misterioso?

si sarà liberato? sarà fuggito?

Ora appare il nulla, il buio alle pareti, una piccola luminosità laggiù in fondo.

Prima domenica di primavera

Prima domenica di primavera – di Gabriella Crisafulli

Un cielo sfumato di indaco e tortora è steso a coprire il parco di periferia. Gli aerei che passano, lo graffiano qua e là di strisce rosa mentre ombre sempre più scure colorano l’acqua del fiume.

Vicino al campo di calcio i tifosi vociano e battono ritmicamente i tamburi. Sui piloni del ponte che riconduce a casa i migranti del fine settimana, un gruppo di ragazzi suona la chitarra e canta mentre chi corre ansima e suda, i cani abbaiano incontandosi, le autombulanze a sirene spiegate colorano di blu i lungarni.

Le fiamme all’orizzonte ritagliano le sagome di case ed alberi.

Lentamente il tramonto lascia il posto ai lampioni che si accendono.

Crollo vetroso

Buttare via e ricominciare – di Gabriella Crisafulli

I passanti lanciavano sguardi perplessi dentro al fondo con la saracinesca spalancata sulla strada.

Il postino si fermò: “Sgombera signora?” disse.

“No” rispose ” Sto liberando” .

In realtà stava andando via, altrove, verso un’altra vita, ma se lo tenne per sé.

Alle sue spalle Richard e Ifemelu continuavano a accumulare i materiali alluvionati in cassoni pronti per il viaggio alla discarica.

Si sentiva il rumore del vetro rovesciato nei contenitori.

“Quanto se ne può raccogliere in una vita?” si disse.

C’erano meravigliosi fiaschi impagliati, damigiane,  bordolesi, bottiglie infrangibili di Coca Cola degli anni cinquanta, quelle da litro per la passata di pomodoro con l’acido salicilico, i bottiglioni da due litri,  … Alcune erano sane, tante in frantumi.

Richard e Ifemelu non si fermavano e passavano da uno scaffale all’altro: quanto tempo ci sarebbe voluto per svuotare tutto?

Adesso toccava alle lampade, quelle con la resistenza e quelle al neon. Più  in là  i piatti di Laveno,  gli specchi di bagni, buffet e toelette,  i lampadari liberty, … venivano da Como, Varese, Gallarate, Pistoia, … tutto religiosamente avvolto nella carta di giornale e serbato in scatole marcate con la scritta del contenuto al loro interno. 

“Buttare via, pensò, era arrivata l’ora di buttare via tutto per lasciare posto ad altro”.