Fragilità

Aprile fragile – di Cecilia Trinci

Scorre fragile, come un sogno la mattina, quando stai per svegliarti e girandoti nel letto assaporando l’eternità del comodo tepore, fai appena in tempo ad accorgerti che tra pochi istanti la luce del giorno allagherà il tuo letto. Scorre fragile, Aprile, e la sua primavera giovanissima promette stupori ogni anno inauditi: le acacie si vestono da sposa nei balzi e nei dirupi, attaccandosi a piccoli pezzi di terra scontrosa e spruzzando a largo ciuffi di fiori bianchi. I fiori rosa degli “alberi di Giuda”, quelli viola del lillà e del glicine, si fanno strada tra le foglie, dentro macchie di verde intenso mentre le rose riprendono lo scettro nei giardini.

Visto da qui Aprile fa uno strano effetto, oggi, di ritorno dal pronto soccorso dove si è consumato un lieto fine non scontato. Aprile morbido, lento, che scivolando sopra i tetti delle case di questo paese a volte rifiutato, spesso troppo scontato, mi accarezza perdonandomi le incomprensioni e le insofferenze e canta musiche di uccelli grassi sopra i rami secchi dell’abete. Aprile che rabbrividisce nelle piogge esagerate quando il sole si nasconde e spegne il riscaldamento dentro un cielo cupo sopra un mare bianco.

Fai un dolce effetto Aprile e non ti vedo, oggi, come un’inutile attesa di stagione, un tradimento di certi giorni bollenti che ci avevano fatto nascondere coperte e copriletti. Ti vedo gentile, sfumato in mille colori, pieno di suoni, di pensieri leggeri, di ricordi teneri, con la tua Pasqua in mezzo che ogni anno gioca a nascondino e non si sa mai, a colpo, quando arriverà senza guardare il calendario!

Quest’anno Pasqua con i miei bambini, con i loro giochi esplosivi e con quel sognante “tutto” come risposta alla domanda “Cosa ti è piaciuto di più Simone di questo giorno?”. Festa leggera con il mare freddo e il cielo celeste ma con i piedi in acqua e corse da levare il fiato. Quando siete partiti Aprile si è fermato, sospendendosi nell’aria e poi ha ripreso a camminare piano, per non sciupare l’eco dei giochi, delle risate, dei piccoli capricci, della gioia imprendibile dei vostri piedini….

Ho pensato a voi, due giorni dopo, nella sala di attesa del pronto soccorso: non potevamo deludervi facendovi sentire troppo presto quanto sia fragile la vita in questo fragile Aprile leggerissimo…

Ponte di primavera

MancatoPonte” con sorpresa – di Laura Galgani

Venerdì 26 aprile 2019, giornata perfetta per un bel “ponte”. Ma io no. Ho fatto già un paio di giorni di ferie, altri due li farò presto e allora vado a lavorare per permettere ad altre colleghe di godersi un po’ di riposo. Sono fatta così, c’è poco da fare.

Non lo sapevo, ma quel piccolo sacrificio nascondeva già, dentro di sé, una grande ricompensa.

Mattinata indaffaratissima, c’era da aspettarselo. Meno siamo, più c’è da lavorare. Non importa, ci sono abituata, cerco di essere gentile con tutti e di dare risposte, se ce n’è.

Verso le 11 una coppia si affaccia timidamente alla mia stanza, mentre sto finendo con una famiglia indiana: lui ha un bel sorriso, la pelle ambrata dal sole. Lei, volto curato, vestita bene, un leggero velo in testa, color cipria, regge in mano qualcosa, avvolto in un foglio trasparente. Chiedo se hanno un appuntamento per ricongiungimento familiare. Lui balbetta “sì, no, lei arrivata ora in Italia”, riferendosi alla moglie. “Bene, allora vi prendiamo subito un appuntamento. Ci pensa questa bella ragazza, Aneela, la mediatrice culturale.” “Noi.. aspettiamo”, mi risponde lui, poco convinto. “Va bene, un attimo e arrivo”.

Saluto la famiglia indiana e mi alzo, vado incontro alla coppia, che molto educatamente è rimasta immobile nel corridoio.

“Noi… vogliamo ringraziare”, riprende lui, e di nuovo un bel sorriso gli si apre sul volto. Sono perplessa. Lui mi sembra di averlo già visto, lei di sicuro no. E sono certa di non aver fatto niente di particolare per queste persone. Provo a chiedere, con delicatezza: “Per che cosa?” La signora, sorridendo con tutto il volto, in risposta mi porge il fagotto che tiene in mano. E’ una buffa pianta succulenta, tinta di rosa fucsia sulle foglie ma verde al centro, avvolta in un tessuto rosa e infilata in un calice di vetro. Il tutto protetto da un foglio trasparente, di quelli che usano i fiorai, con in cima un bel ricciolo color rosa baby.  Un po’ kitsch, forse, ma particolare. C’è persino una mollettina di legno che tiene un bigliettino. “Leggi”, mi invita lui. Poggio il fragile involucro sulla scrivania e prendo il bigliettino. Dentro, scritto in una delicata e bella grafia, solo la data di oggi e due parole: GRAZIE ITALIA. Sotto, la firma, Zuhra S. Un’emozione intensa mi sale dal cuore. Grazie Italia… non è me che vogliono ringraziare, né il o la collega che ha trattato la loro pratica, non una persona in particolare, il loro gesto vale molto di più, vogliono assolutamente esprimere riconoscenza verso un Paese intero. Mi giro verso di loro. Aspettano la mia reazione. Il volto di lui mi è sempre più familiare, e infatti: “Io sette anni qui, asilo politico, ti ricordi?” Sì, pian piano qualcosa mi ricordo. “Da quale Paese venite?” “Afghanistan” Ecco, mi sembrava… arrivò che era impaurito, affamato, sporco, i vestiti laceri e soprattutto chiuso in se stesso dalla paura. Il viaggio, in gran parte a piedi, dall’Afghanistan, vuol dire attraversare il Pakistan, poi l’Iran, arrivare in Turchia e là, ad Istanbul, attaccarsi invisibili sotto ad un tir e con quello imbarcarsi su una nave, sperando di resistere durante la traversata e di non esser visti. Poi, finalmente, da qualche parte in Italia, scendere e tornare di nuovo ad essere visibili. Ma poi?

Venne, sette anni fa, a chiedere asilo accompagnato da un “kebabbaro” della zona del mercato centrale dal quale, affamato, era entrato, e che, come lui, parlava farsi.

Mi sorride ancora. “Noi vogliamo dire grazie a Italia, tutta Italia, fatto tanto per noi, ora mia moglie è qui, noi diciamo grazie.” Non so se sono più commossa o imbarazzata. Per togliermi d’impiccio cambio discorso: ”e… come va, lavori?” “Sì, io poto ulivi, piante… agricoltura. Prima Castelfiorentino, ora voglio andare a Poggibonsi, c’è più lavoro, voglio prendere una casa per noi.” “Bene, mi fa piacere, e mi raccomando, fai studiare l’italiano a tua moglie, lo sai che è importante.” La signora mi guarda e mi sorride. Ha degli occhi così profondi e aperti, in pace, che non si può fare a meno di lasciarsi catturare. Vorrei dirle qualcosa, ma non posso. Le cinque lingue che parlo non servono a niente, in questo momento. Mi sento così inutile! “Ora la collega vi prende l’appuntamento, ci vediamo presto. Grazie della pianta, la porto a casa così penso a voi.” Di solito sono restia ad accettare persino un cioccolatino, perché non voglio che si creino malintesi, ma stavolta è diverso. Non posso non accettare questo dono, che non è per me, è per l’Italia tutta!  Significa “grazie perché siamo essere umani e ci avete accolti, riconosciuti e trattati come tali, consentendoci di esercitare il diritto di chiedere asilo, prima, e poi il diritto all’unità familiare”. Diritti sanciti dalla nostra Costituzione, che a noi sembrano dover essere garantiti a tutti, automaticamente, ma troppo spesso ci scordiamo che invece non è ovunque così, anzi, quasi da nessuna parte.

Nel salutarli stringo loro la mano. Quando la signora prende la mia fra le sue sento un calore incredibile, fortissimo, che si trasmette a tutto il mio essere. E’ un calore che mi fa bene, perché è sincero. E’ un calore che viene dal cuore, da essere umano a essere umano. Inaspettata sorpresa del “Ponte” mancato!

Pasqua

PASQUE – di Rossella Gallori

…ecco si, mi accoccolo sul divano, sperando di potermi rialzare con facilità, prendo il tablet e scribacchio,  così senza pensar troppo, come se parlassi per telefono con l’amica di sempre. Come quella  che è apparsa ieri pomeriggio con un dolce della sua tradizione, una cosa “ovosa” e “ coloratosa” che sapeva di bimba, di mamma, d’ infanzia mai dimenticata, di una Sicilia sua, scolpita nel colore dei suoi occhi, nella sua carnagione…è stanca lo so, ci conosciamo così bene da sapere anche ciò che non diciamo, prevediamo le risate, le lacrime una dell’ altra…

Ha fatto per me una cosa dal nome astruso “ cuddura coll’ova” un cestino di pasta frolla , con l’uovo sodo, con il guscio ed i coriandoli di zucchero…..dice che si è rilassata nel farli, ha dimenticato un po’ di affanni…ed io le credo a metà, ma ne son contenta…

Stamani ricordo i miei ieri, tra le Pasque da ridere, quelle da piangere, il cestino siculo non c’è più, ce lo siam pappati con anticipo…mentre il telegiornale snocciolava brutte notizie…… l’ho sostituito con i ricordi, quelli senza data, senza doti particolari, il pane azzimo con lo zucchero, una torta di spinaci e uova sode,  che di Pasqualina aveva poco, più sformato ….molto “sformato”…un vino buono che: A PASQUA SI BEVE… e poi la mamma lo lasciava in frigo xchè con il vino ci si cucina….diceva lei, che era astemia, come me…i fiori della Sora Eva la fioraia…che te li do …tanto dopo pasquetta “ un il vendo” , il sud dei miei vicini di casa, quando ero già grande pur essendo piccola, il sud dei miei suoceri, tra pastiera, casatiello, ed incomprensioni che oggi, che è tardi mi sembrano inutili…

Tutti in fila stamani i ricordi, un appello senza ordine alfabetico…senza date che non ricordo mai…le Pasque in cui rinnovavo una gonna, quelle in cui mi rompevo due dita battendo la mano nel muro…le Pasque Aliciose, con coniglietti di cioccolato, che non mangiava per non sciuparli, le Pasque in quel di trespiano…e non era una gita fuori porta…le prime fughe in campagna…con un letto più  cuccia che altro…..ma  indimenticabile…le Pasque a lavorare, dieci ore pagate così bene da vergognarsi a prenderle…

…ora basta, è il 21 aprile è Pasqua….le altre le ripongo, ma non le chiudo a chiave, ne ho bisogno x essere io, erano e sono pezzi di pane…che non son mai diventati pangrattato polveroso ….

…..Ho mia figlia con la sua compagna alla porta,  amici che arrivano, altri che telefonano….e che prima di dire Auguri, mi chiedon come sto….la carne cuoce….cuoceeeeee????? Nooooo bruciaaaaaa

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