Leggerezza – di Nadia Peruzzi

Leggerezza, che sarà mai?
Scrivo di getto solitamente. Lascio che la scrittura fluisca e riempia a poco a poco la pagina bianca.
Faccio fatica con questa “leggerezza” che costringe a scavarti dentro ed è un tema che mette a nudo parti di te che tendi a proteggere. Esce per immagini senza un filo di continuità. Pezzi che si aggiungono a pezzi nel dipingere un percorso di vita, lineare per lo più, a volte contrastato, accidentato e con momenti venati da dolori profondi. Un percorso che si snoda per spazi conquistati nei quali decidiamo di volerci bene e accettiamo di non essere troppo severi nel giudicare noi stessi.
Siamo somme di storie e noi stessi siamo dei crocevia per altre e altre ancora. Ci portiamo addosso abiti cuciti bene o male, che contesti, epoche, educazione, sentimenti ed esperienze han confezionato per noi. Dalla trama iniziale ne cuciamo di nuove :siamo insieme tradizione, conservazione, ma anche evoluzione e cambiamento.
Se guardo a me e alla mia famiglia come in una istantanea, vedo bene che la leggerezza non è stata compagna abituale e ancella.
Una frase mi appartiene e ha appartenuto a tutti noi. Una frase di quelle che senti in un film e sono uno spaccato di vite. “Tutto quello che succede nel mondo, non succede a te personalmente”.
Io, noi avevamo il mondo dentro casa. Arrivava a folate con la radio che amplificava le notizie degli anni 60 i primi di cui abbia un ricordo nitido. Portavano echi di popoli che si liberavano da antiche schiavitù e servaggi coloniali e ti ritrovavi Algeri nel cuore, anche prima di aver visto il film di Gillo Pontecorvo mentre sentivi alzarsi il canto di rivolta delle donne algerine nella casbah.
Sono nata nel 1952, a scriverlo ora mi rendo conto che dalla fine della guerra erano passati appena 7 anni. Nata da genitori che quella tragedia avevano attraversato portandosi dentro cicatrici esorcizzate in vario modo anche con la scelta di vita che era stata di entrambi di dedicarsi completamente all’attività politica. Uniti nella passione di cambiare lo stato di cose presente ,per evitare di ripiombare nel tempo buio che era stato il loro. La politica ancora era bella, era impegno collettivo e missione in chi vi si dedicava. Quel tempo di vita dedicato agli altri ,era spesso sottratto agli affetti domestici ed era un po’ il prezzo da pagare. L’orario di lavoro non era quello di semplici impiegati. Iniziava la mattina presto ,finiva spesso a tarda notte .Capitava spesso che ci si vedeva tutti insieme solo per cena.
La dimensione dell’impegno, il lavoro anche su sé stessi, il mettersi in gioco superando limiti di non poco conto erano la cifra .Mio babbo ha vissuto una vita da timido per l’essenziale eppure riusciva a tenere i suoi comizi senza che la voce avesse un minimo cedimento di fronte a folle anche numerose .che stavano li appese alle sue parole e ai suoi argomenti, convincenti e trascinanti
Gli capitò a Livorno nel 1953 di sostituire Berlinguer e la folla era oceanica davvero a rivedere la foto dell’evento. Lui di quel momento amava raccontare, con occhi che ridevano e senza alcuna spocchia, la parte più buffa. I presenti si domandavano quando e quanto fosse ingrassato Enrico, scoprendo solo dopo che non era stato lui a parlare da quel palco.
Era bravo a staccare la spina il babbo. Anche nelle dispute domestiche lasciava che la mamma si sfogasse ,e intanto fischiettava o canticchiava. Per finirla lì la discussione se non ne valeva la pena, ,lasciando che sbollisse da sola. Era il suo modo di mettere la giusta distanza dalle cose della vita che potevano creare attriti e negatività. Era solidamente positivo.
La mamma no, lei la vita l’ha sempre presa maledettamente sul serio. Non si lasciava andare facilmente. Forse perché si portava dentro un dolore bambino di chi ha perso sua mamma a 9 anni.
L’espressione un po’ severa che la contraddistingueva era solo una maschera a copertura di una fragilità che in vecchiaia ha avuto modo di emergere .
Mi rendo conto che per arrivare a me ho dovuto fare affidamento ad un prologo anche troppo lungo.
Ma nel viaggio di cui siamo tappe, quello che collega una generazione all’altra, non si può evitare. Almeno credo.
Siamo l’aria che abbiamo respirato, le cose ascoltate anche senza averne piena consapevolezza, la saldezza di principi, la modestia e la voglia di far bene e di migliorarsi che hai visto praticate come esempio. Spesso, negli ultimi anni vissuti senza mio padre, mia mamma si lasciava trascinare nel vortice della tristezza per ciò che vedeva attorno a sé. Il senso di un fallimento non solo collettivo pure personale. Lo viveva con pesantezza.
Cercavo di consolarla con una battuta .Ammettevo il peso che da figlia avevo dovuto sostenere, almeno fino al momento in cui come loro mi ero ritrovata ad abbracciare lo stesso percorso e lo stesso tipo di impegno. Confessavo poi, anche sorridendo, che in fondo quel peso non doveva esser stato così enorme se avevo deciso di non passare ad altre sponde, o di spiaggiarmi su altri e opposti lidi.
Spesso riguardavamo le vecchie foto. C’era leggerezza nelle scampagnate domenicali o nelle vacanze in montagna nell’entroterra di Genova dove mia mamma aveva vissuto durante la guerra.
Vacanze semplici, come semplice era il paese .Le famiglie che si ritrovavano anno dopo anno erano spesso imparentate per fili lontani e la vita scorreva in combriccola. Il babbo che giocava a bocce e faceva sorridere con le sue battute sornione i giovani che gli stavano attorno, la mamma che giocava a carte al bar del paese. Poi a dominare era la pace che conquistavi nel cammino verso il crinale. Rimanevamo ogni volta sorpresi dal brilluccichio del mare dalla parte di Genova, e dalla mezzaluna delle cime innevate delle Alpi, quasi sospese nell’aria, che dopo un temporale risultava nettissima.
La fatica non esisteva quasi e si, in quei momenti, eravamo solo noi tre e nessun altro a parte la natura e quel verde che anche in piena estate non cedeva al solleone.
Dopo gli anni passati ad inseguire una perfezione che non esiste accompagnata dalla insoddisfazione che ne consegue, la leggerezza della mia età adulta è sentirsi tranquilla nei vestiti che indosso oggi accettando il pacchetto completo ,pregi e difetti compresi. Consapevolezza del proprio essere imperfetti accettandolo in tutta tranquillità. Leggerezza è sentirsi dentro un contesto di valori senza lasciarsi inchiodare da certezze trasformate in assiomi, ricerca continua e apertura ai cambiamenti. A tutti anche quelli brutti che destabilizzano e fanno veramente male, ma a cui non puoi dare il permesso di affondarti in nessun modo.
La morte di mia mamma ha fatto riemergere tutti gli altri lutti. Lame di dolore a ondate con al centro il dolore più grande quello della perdita di un marito di 45 anni che mi ha vista costretta ad indossare due vesti, anche quella di padre. Leggerezza a volte è decidere che si deve indossare una maschera che parli di normalità e continuazione di vita ad una bimba di 11 anni per provare ad andare avanti nonostante tutto.
Leggerezza erano i viaggi che abbiamo fatto insieme in macchina. I paesaggi ci venivano incontro come una pellicola che srotola lentamente i suoi fotogrammi portando gioia ad ogni cambio di scenario. La tensione di lasciare il già conosciuto per l’ignoto si stemperava fino a svanire del tutto, e ad un certo punto non pensi ad altro che a quella dimensione di benessere che provi per il solo fatto di viaggiare, il bello era anche nelle soste improvvisate senza lasciarsi determinare dalla fretta o dall’incalzare del tempo.
Leggerezza oggi è saper riconoscere quando un vortice ti sta portando al limite. È saper decidere di staccare la spina. Il mondo oggi riesco a tenerlo fuori molto più di un tempo. Forse èproprio del mio tempo da anziana pensare in grande ma riuscire a piegarsi sul piccolo, su quello più vicino a noi.
Figli e nipoti ad esempio che cerchi di vivere qui e ora e il loro futuro sarà quel che sarà, anche se ci provi sempre a cambiare le cose perché possa essere diverso.
Ma non lasci che sia il tuo pessimismo analitico a prendere il sopravvento. Trovo salutare tralasciare giornali e notizie tv, lascio scorrere titoli e immagini lasciando che scivolino come l’acqua di marzo, quella che non entra nel profondo. Non è disimpegno, ma prender fiato, quando serve e quando si deve.
La leggerezza è quella che ho sempre trovato e provato con i libri fra le mani. Quelli che portavano fra i pirati della Malesia, e nella foresta di Sherwood, fra i borghi abitati dalle streghe delle Novelle di Calvino, molto più vicini a noi e al nostro mondo e pure non meno fantastici e fantasticati. Adesso ci sono quelli che fanno pensare e ci devi tornar su per capirli meglio, quelli che aprono a nuove prospettive, quelli in cui trovi spazi di ilarità e ti ritrovi da sola a ridere come una scema.
Adesso ho trovato un mio spazio di leggerezza nella scrittura .Man mano dai cassetti di fondo un po’ coperti di polvere e di incrostazioni di vario genere a ondate e per guizzi riescono ad emergere spunti e idee buffe ,in un misto di realtà e finzione che a rileggerlo fa star bene.
Più difficile mettere a nudo sé stessi. La propria sfera privata resta li dove sta. Ne escono sprazzi di ricordi che sono consolatori. Uno in particolare si fa strada in questa ricerca per dare un senso ad una parola complessa come leggerezza.
Ci muoviamo tenendoci per mano. Un gesto che veniva dal profondo e che ci piaceva tantissimo. Irene era inizialmente per mano ad uno dei due. Bastava poco e in una sapiente mossa di aggiramento si piazzava esattamente in mezzo guardando divertita prima l’uno poi l’altro. Quando eravamo un trio.
Leggerezza come lo splendore di questa apertura sulla vita, quella trascorsa, vibrante nel ricordo, e quella di questo presente, ancora così palpitante e tenera
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Sventola leggera nel tuo scrivere, una bandiera, dai tanti color: color passione, color famiglia, color vita…vessillo di grandi sentimenti…racconti una vita …la tua e non solo …senza rancori con serenità.
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Dritto al cuore. Ho volato con leggerezza fra le tue parole e mi sono ritrovata bambina, giovinetta, adulta, anziana. Esperienze diverse ma emozioni comuni. Grazie
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Bravissima Nadia a ripercorrere con…leggerezza…le fasi della vita, le gioie e i dolori, la quotidianità e gli avvenimenti significativi, le speranze e le amarezze! Ricordi ben descritti, avvolti in una rassicurante nuvola di positività…
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Grazie Franco per le belle parole.Non è stato facile scrivere e nemmeno rileggere.Sono contenta di averlo fatto,tuttavia. Aiuta innqualche modo ad alleggerire i pesi che sinportano dentro.
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Grazie Maria Laura.Scrittura non facile.Nemmeno a rileggere.Tuttavia metter nero su bianco aiuta e alleggerisce qualche peso. Abbracci.
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Cara Rossella,mi hai fatto commuovere. Grazie per le pennellate di colori.Ognuno di noi vive di intrecci.Si arriva ad un punto in cui si tirano somme..non è stato per nulla facile scrivere ma metter nero su bianco aiuta ad esorcizzare dolori! Abbracci !
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Grazie Cecilia.Non è stato facile riempire la pagina bianca.Sono contenta di esser riuscita a farlo. La posizione di chi scrive è anche un pochino “esterna”.. Come se fossimo altro da noi e potessimo scavare un po’ meglio negli avvenimenti che ci portiamo dentro, alcuni a far molto male.
Sono contenta di questo percorso iniziato da circa tre anni per tutto quello che di positivo mi ha regalato.Tiene accesa la voglia di mettersi in gioco e ti spinge ad accettare sfide anche da partire da notizie ai confini della realtà .Continuo a trovare molto proficua e interessante l’interazione con tutto il gruppo ora che ci conosciamo meglio. Somma di esperienze ,caratteristiche e capacità diverse l’una dall’altra e di una ricchezza che rende il confronto stimolante e piacevole. Comporre il quadro e dare indicazioni e spunti ,suggestioni sta alla tua sapiente regia. La passione che ci metti è stimolante incentivo per me a cercare la strada per migliorarsi .
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