“Abitare la casa intelligente! La casa del futuro!”, così diceva la pubblicità e decisi di non lasciarmela scappare.
Così eccomi qui, nella prima mattina dopo il trasloco a godere le gioie del
caffè bollente e delle brioches appena sfornate senza aver alzato un dito.
Pensa a tutto Hal nella nuova casa. Hal, il sistema centralizzato e computerizzato che da ordini a tutto. Appena ho voglia di fare la doccia lei zampilla alla temperatura perfetta, quando devo prendere i vestiti le porte degli armadi si aprono, le luci mi accompagnano di stanza in stanza. Musica diffusa ovunque, la tv 50 pollici si attiva e si collega solo per le trasmissioni che corrispondono al mio stato d’animo del momento.
Nessun patema, né ansie, o eccesso di fretta. Tutto scorre placidamente.
Quando sono ancora fra il sonno e al calduccio sotto le coperte sento già l’aroma del caffè e del pane appena tostato che invade casa e sinceramente la cosa non ha prezzo. Quando torno dal lavoro la porta di casa si apre da sola senza che debba perder tempo a cercar la chiave dentro la borsa, una piacevole sorpresa fornita pure senza sovrapprezzo.
Preparare da mangiare è diventato un gioco della mente più che una fatica. Il frigo si apre a comando vocale e mette fuori quello che serve per i vari manicaretti. Entrano in funzione i vari assistenti elettronici a fare il resto: lavano, triturano, tagliuzzano, impastano, cuociono, infornano…..La sola fatica prima di cena si è ridotta al cambiarsi d’abito per uno più comodo. Per nulla spiacevole. A dirla bene, coccolata e viziata. Tutto meritatissimo, mi dico sempre più spesso. Ho lavorato sodo per potermelo permettere.
Gli amici sono sbalorditi. Mi fa bene, dicono. Mi han vista rifiorire. Anche i lati più duri
del mio carattere si sono smussati in pochissimo tempo. Effettivamente posso
dire di essere arrivata al punto magico in cui senti che non hai più nulla da
desiderare e stai bene anche nella tua stessa pelle. Dentro casa mi sento coccolata
come se fossi tornata all’origine, nel ventre materno caldo e accogliente.
Quando ci sono stati i primi segnali non sono riuscita a coglierli.
All’inizio sono state le luci in giardino. Non si accendevano tutte in
contemporanea. Una notte è capitato di esser svegliata dalla polizia che
suonava alla porta. Avevano ricevuto una segnalazione di effrazione in corso.
Sembrava partita dal telefono di casa, ma forse c’era stato un errore o il loro
centralinista doveva essersi sbagliato, dissero.
Comincio a sentire qualche accenno di ansia. Le preoccupazioni che per lungo tempo sono riuscita a tener fuori stanno tornando a farsi spazio. Il tecnico che si occupa di Hal , il computer domestico, quasi settimanalmente viene a fare una verifica all’impianto senza riscontrare anomalie.
Eppure stamattina è successo il patatrack.
Casa gelata e riscaldamento spento, nonostante fuori la temperatura sia
sottozero. In cucina la tavola è imbandita per la colazione come fossimo in
piena estate e ci fosse un battaglione di persone da accontentare. Nessun caffé
bollente, solo latte freddo, bibite ghiacciate e frutta appena tolta dal frigo.
Afferro il telecomando a infrarossi per accedere al menù di Hal ma senza
esito. Ci provo con quello a raggi ultravioletti e con quello riesco almeno a
veder comparire il pannello di controllo senza che sia possibile entrare
nel sistema per riprogrammarlo di nuovo.
Nel frattempo le luci di casa si spengono e si accendono senza sosta, mentre le porte degli armadi si aprono e si chiudono senza motivo. Vasca idromassaggio, lavatrice e lavastoviglie entrano in funzione tutte nello stesso momento senza che ce ne sia bisogno. Prendo il telefono per chiamare nuovamente il tecnico, ma il telefono non funziona, così come non funziona il cellulare. Mi rendo conto di essere del tutto isolata e senza la possibilità di mettermi in contatto con l’esterno. Comincio ad aver paura.
Mi siedo disperata sul divano proprio mentre la tv sta trasmettendo il film
di me stessa che corro trafelata per casa a tentare di mettere ordine nel caos.
Mi vedo scarmigliata, pallida, tesa, terrorizzata e pure invecchiata di
colpo. Un brutto vedersi. Una anziana piccola piccola e in balia degli eventi .
Vedo attraverso lo schermo arrivare l’aspirapolvere con un braccio a forma
di battipanni che mena fendenti a destra e a manca. Riesco a schivarlo appena
in tempo. Non rimane che la fuga.
Colgo il momento in cui si apre un piccolo varco nelle finestre che danno sul giardino e raggiungo la piccola stanza attrezzata vicino al cancello, quella che avevo sistemato per gli ospiti senza tuttavia le automazioni meravigliose….. Sprango in tutta velocità la porta di legno che meno male sembra reggere i colpi di battipanni che l’aspirapolvere continua a tirare.
Mi sdraio sul letto a occhi chiusi respirando lentamente. Respiro, respiro e piano piano torno in me….Verifico alzando la cornetta che il vecchio telefono funzioni e chiamo prima il tecnico per il computer, poi la polizia.
I pensieri lentamente si fanno più
netti. Sto recuperando in lucidità e razionalità. Mi viene fame. La paura, mi
dico, o anche il fatto che stamattina non ho ancora fatto colazione.
Apro i mobiletti del piccolo cucinotto accanto e vedo la vecchia moka, quella che ero stata sul punto di buttar via durante il trasloco. C’è un pacchetto di caffè sotto vuoto e una bustina di zucchero rimasta nella tasca di un cappotto l’ultima volta che sono andata al bar con Sara. In un cassetto trovo pure dei biscotti e delle brioches confezionate.
Avvito la caffettiera…. ehi mi ricordo come si fa!, bruciacchio le brioches nel vecchio forno con le manopole consumate. In un momento salgono dal fondo profumi antichi, la crosta bruciata, il burro riscaldato, la frolla dei biscotti e più intenso, sopra tutti, quel magico, intenso, trascinante borbottante profumo di caffè…..! Mi godo il momento ……
Fuori l’aspirapolvere ha finito la batteria e si ammoscia sull’aiola, distesa su un battipanni rotto…
Il corridoio era lungo e stretto. Non c’erano finestre, solo porte tutte uguali, tutte chiuse. Il percorso era luminoso, nonostante non vi fosse luce artificiale.
Come in sottofondo si poteva udire un’armonia
ritmica; solo se si faceva tacere il rumore dei passi. E se non fosse
stato per la serenità che infondeva quel suono la mente si sarebbe senz’altro
diretta al rumore di una catena di montaggio.
Occorreva tendere l’orecchio al massimo per capire quale
fosse la porta da aprire.
Era la penultima, sulla sinistra. Adesso sì, era più chiaro:
quattro note sublimi, come battute con dolcezza su uno xilofono. Riecheggiavano
leggere e invitavano alla meditazione. Piano piano Marta azzardò la sua mano
sulla maniglia. Senza il minimo rumore si aprì uno spiraglio su una stanza
completamente spoglia. C’era solo un telaio sul quale Pinocchio, di spalle,
stava lavorando. Tesseva una bella tela colore ecru e ad ogni movimento una
nota volteggiava nell’aria. Dlin dlon dlan dlun. E poi daccapo. Ogni tanto Pinocchio inseriva
un filo rosso ed era quello il momento in cui,
stando molto attenti, si poteva percepire un suono diverso, come di
leggero sibilo.
Il burattino ebbe una leggera esitazione, a Marta sembrò che
volesse girare il capo verso di lei, ma non accadde. Richiuse la porta certa
che Pinocchio stesse sorridendo.