Per la serie: Alchimia di storie a più mani

 MARE  APERTO – Di Chiara Bonechi, Tina Conti, Carmela De Pilla

 “Amelia”

Quando la nonna le aveva suggerito di trascorrere qualche settimana nell’azienda del suo caro amico Lapo, al Cerreto, Amelia fece un po’ di resistenza ma aveva troppo bisogno di staccarsi da Duccio  e doveva allontanarsi al più presto da Firenze.

Arrivata alla villa tutti cercarono di metterla a proprio agio, perfino il vecchio amico della nonna dal carattere un po’ burbero;  gli faceva piacere parlare di Lina, ricordava con nostalgia i tempi in cui gestiva la ” Fattoria Sassano ” in quel piccolo paese del Sud. D’altra parte Amelia assomigliava a sua nonna, fisico asciutto e ben proporzionato, esile e longilineo, tutto sembrava dipinto nella sua figura perfino gli occhi azzurri come il mare della Sicilia.
I lunghi capelli biondi che teneva sciolti nascondevano la sua timidezza e uno strano disagio che percepiva ogni volta che doveva parlare.

-Amelia, non dici nulla? Te ne stai sempre zitta in un angolo!!

Le odiava quelle parole, sempre le stesse, più si sforzava di parlare e più le labbra restavano serrate, i  discorsi rimanevano pensieri chiusi nella mente e tutte le volte ne era delusa.

Era piccola quando si presentò quella balbuzie, tutti ci ridevano sopra e lei inconsapevolmente accentuava ancora di più quei suoni buffi credendo di essere divertente, ma Amelia era cresciuta e non rideva più.
Quel prolungamento di suoni, quelle sillabe ripetute suo malgrado la mettevano a disagio, passava ore chiusa in camera a parlare davanti allo specchio, ma quelle consonanti, sempre le stesse, si bloccavano con forza sulle labbra.
Doveva riuscirci, ma più si sforzava e più la lingua s’irrigidiva, i muscoli della mandibola si appesantivano e il respiro diventava  spezzato.

Quando si sentiva affranta si recava sulla spiaggia ancora deserta e faceva lunghe camminate a piedi nudi, da una parte il mare dall’altra una vegetazione selvaggia. Il corbezzolo e il mirto facevano da padroni, ai piedi la rucola selvatica e i gigli marini con il loro profumo intenso.
Le piaceva passeggiare quando il mare era in tempesta, le onde spandevano nell’aria un suono che si ripeteva con lo stesso ritmo, l’aiutava a ritrovarne uno dentro di sé che spesso era disordinato e caotico. Guidata dalla musica del mare e del vento canticchiava, con voce malinconica, una nenia e via via si placava quella turbolenza che le schiacciava il petto.

Quel giorno era particolarmente spossata, così decise di recarsi al mare per ripetere il solito rito, si guardò intorno e sicura che non ci fosse nessuno cominciò a cantare, prima con voce soffusa poi sempre più forte fino a intonare una canzone a squarciagola.
Si accorse così che le parole scorrevano fluidamente senza impuntarsi o balbettare come se avesse trovato improvvisamente il sentiero per tornare a casa dopo essersi persa, aveva capito che quella musica amica le dava l’equilibrio, tanto cercato, per lanciarsi finalmente nel mondo delle parole.
Aveva registrato la musica del vento e del mare per riascoltarla nelle giornate fredde; si chiudeva in camera e cantava, cantava per sé.

In casa era diventata un’ossessione, ma nell’intimo erano tutti contenti perché quando cantava dimenticava di balbettare. Più felice di tutti era la madre che, vedendola più serena, la iscrisse al coro della parrocchia e fu subito chiaro che Amelia aveva un talento naturale.
In poco tempo diventò la pupilla dell’insegnante che le consigliò di frequentare il conservatorio a Firenze.

Con la mente già si proiettava in quella città bellissima e l’emozione per un’ esperienza che le avrebbe cambiato la vita era molto forte, col cuore trepidava per il timore che la Sicilia, il mare e la famiglia le sarebbero mancati.
Aveva paura, una paura nuova che decise di sconfiggere con la stessa caparbietà con cui aveva affrontato e sconfitto la  balbuzie.

Chi le voleva bene la incoraggiò, la sostenne e Amelia partì.

Firenze le sembrò subito amica, il monolocale che abitava nella zona del Salviatino al piano alto era accogliente e dalla finestra poteva scorgere le colline fiesolane e le fronde dei grandi pini del giardino, perfino il cinguettio dei passerotti e l’ abbaiare dei cani al piano di sotto le facevano compagnia e presto non pensò più al mare della Sicilia.
Aveva la fermata dell’autobus vicina e poteva raggiungere in poco tempo il Conservatorio. Attratta e appassionata dallo studio, avvolta nella comodità della nuova casa, le bastò poco per sentirsi a proprio agio nel  quotidiano. E ancor di più si sentì bene quando, uscendo per buttare la spazzatura, un ragazzo fermò il motorino vicino a lei e le chiese: ”Come ti trovi nella mansarda di mia nonna?”
Fu così che incontrò Duccio.                                                                                                                 

Duccio aveva 23 anni, capelli neri con taglio regolare, occhi scuri e penetranti che colpiscono al primo sguardo e denotano vivacità intellettiva, non era molto alto ma ben proporzionato, pur avendo una corporatura robusta non aveva un filo di grasso e i muscoli delle cosce erano tonici. Vestiva in modo sobrio, semplicemente ma con gusto, indossava jeans e spesso maglioni blu, stile inglese.

Era sempre stato un bambino tranquillo e diligente, in famiglia ricoperto di attenzioni, mai soffocato e con spazi di libertà per le proprie scelte. A scuola e negli ambienti sportivi era riuscito a trovare molti amici, lentamente si era costruito una sana autostima.

Duccio studiava ingegneria all’università di Firenze, amava il gioco di squadra e amò Amelia per diversi anni. Era un ragazzo serio che sapeva organizzarsi; lei era affascinata per come riusciva a conciliare lo studio, lo sport, il tempo per lei e per gli amici. Le capacità intellettive e una famiglia agiata e serena avevano reso la sua vita piuttosto facile, era portato a parlare di musica e di sport, di mondi sconosciuti, di motori e di meccanica, di informatica ed elettronica, argomenti su cui era un piacere sentirlo disquisire.

Durante le loro passeggiate diventate quasi quotidiane, Amelia aveva scoperto  Duccio ed aveva lasciato che lui la conoscesse, i racconti delle loro vite si susseguivano, si intrecciavano, divennero una sola cosa e il loro amore durò a lungo.
Poi quella mano che lo teneva stretto nei pomeriggi dopo lo studio, nelle passeggiate rigeneranti dopo la fatica, piano piano, senza un reale perché, si allentò fino a sciogliere del tutto la presa e lui si sentì perso, impreparato ad affrontare il primo vero grande dolore della sua vita.

Lei c’era sempre stata, era sicuro del suo amore.
I loro incontri erano diventati però  veloci, un caffè al bar sotto casa, il racconto degli  impegni, un bacio e “a domani”.
Non c’era tempo per i progetti insieme, per programmare qualche fine settimana lontano da Firenze dove trascorrere ore tranquille. Amelia pensava che forse in un altro luogo non avrebbe colto nello sguardo di Duccio e nel movimento del suo corpo la fretta di correre via, forse si sarebbe di nuovo abbandonato a lei.
Ma questi rimanevano pensieri perché ad ogni sua proposta si sentiva rispondere “non so, sarà difficile, l’esame si avvicina, ho la partita, meglio più avanti”.

Cominciò a chiedersi quale fosse il suo  ruolo nella vita di Duccio, si volevano molto bene ma, mentre lei  lo aveva sempre ascoltato, compreso e sostenuto, lui non sembrava accorgersi più dei suoi bisogni e delle sue passioni, non si rendeva conto che nel fluttuare dei tanti impegni mancava uno spazio per lei. Gli erano necessari i suoi baci e le carezze, il contatto con le sue mani sottili e morbide, ma era solo a se stesso che tutto doveva rifluire. Amelia con lui vicino, respirando profondamente il calore che si sprigionava dal contatto con la sua pelle, riusciva per brevi attimi ad essere ancora felice.

Un pomeriggio, allentando la presa delle mani che si intrecciavano ad ogni loro incontro, lei glielo disse, non voleva stare più con lui.
Duccio la guardò incredulo, era uno scherzo?
Poi la osservò come non faceva da tempo, vide nel suo uno sguardo gelido, fermo, triste, e capì che era tutto vero, non avrebbe recuperato con nessuna promessa quello che stava perdendo e pianse. Pianse per molti giorni, niente aveva più un contorno nitido e ben definito, si sentì perso e solo.
La sicurezza e la tranquillità che continuava a ricevere in famiglia non lo sostenevano più, sentiva adesso la necessità di uno spazio suo e il bisogno di costruirsi una forza che non derivasse da altri ma solo da sé.

Amelia aveva lasciato così il monolocale del Salviatino e era partita per il Cerreto.

 “Al Cerreto”

Nonno Lapo aveva avuto in eredità la bella proprietà  del Cerreto da una zia materna ai primi del novecento. Era un’azienda  molto florida, i poderi erano ben coltivati e tante famiglie  abitavano nei casolari garantendo buone entrate.

Fresco di studi e ambizioso, il nonno aveva sperimentato colture nuove e introdotto razze di bovini resistenti alle malattie. Quando a cavallo si aggirava per i campi in compagnia del fattore, godeva di quelle distese di foraggio, delle colture di cereali e si intratteneva volentieri  con i contadini.

Era andato a vivere al Cerreto prima di completare gli studi e la vita di campagna gli consentiva di mettere in pratica quello che studiava.

Da allora si era sempre interessato all’andamento dell’azienda ma da quando il figlio ne aveva preso le redini, si accontentava di esprimere un’opinione o di sostituirlo per le vacanze.

Bernardo, il nipote che tanto aveva atteso, sicuramente non avrebbe proseguito l’attività, il lavoro a Milano lo assorbiva completamente.

Ultimamente però la sua passione per  l’allevamento delle pecore lo aveva fatto ricredere.

Notava una trasformazione in lui, adesso passava molto tempo libero in fattoria e l’idea di trasformare i locali, non più utilizzati, per un grande laboratorio  artigianale  lo avevano sorpreso,  si sarebbe davvero stabilito anche lui al Cerreto?
“Il signorino” così un tempo veniva chiamato in campagna il giovane erede maschio delle famiglie benestanti e solo gli operai più anziani a volte chiamavano Bernardo così anche se lui non faceva parte di quella generazione;  era un giovane dinamico nonostante la sua leggera zoppia, allegro e cordiale con tutti, sicuro di sé, con un ciuffo ribelle sulla testa che fin da piccolo aveva sfidato a colpi di spazzola e acqua.
Aveva occhi azzurri, intensi ma delicati che proteggeva con originali occhiali da sole, un vezzo al quale non rinunciava mai.
Portava capelli lunghi e curati  in inverno, li tagliava drasticamente in primavera insieme alla folta barba.
Amava vestirsi comodo e sportivo anche se per il suo attuale lavoro doveva essere moderatamente formale; questo però non lo tratteneva dall’indossare gilè colorati e sciarpe fantasia provenienti dal laboratorio di casa.
Era molto ammirato e seguito dai giovani colleghi di Milano che lo incoraggiavano chiedendo quegli accessori per il loro guardaroba.
La lavorazione delle lane prodotte e la realizzazione dei capi di abbigliamenti iniziata quasi per sfida e divertimento nelle due stanzette della fattoria, con l’aiuto degli amici nei momenti liberi, sarebbero potute diventare il suo nuovo lavoro.
Con il padre aveva coltivato la passione per l’allevamento di pecore di una razza speciale che fornivano lana molto richiesta, insieme avevano dedicato tempo ed energie per selezionare animali che davano un prodotto nuovo.
Nuvoletta, un’agnellina che per la sua storia travagliata aveva avuto un trattamento speciale, si era tanto affezionata a Bernardo che lo seguiva dappertutto, sentiva la sua macchina arrivare e scalciava per essere liberata.

Quando Bernardo era alla fattoria dormiva nel sottoscala, nella cuccia del maremmano.

Alle fiere i capi migliori partecipavano alle esibizioni e tornavano con bei campanacci al collo tutti infiocchettati.
Il suo sogno era allargare l’attività e nei vecchi magazzini impiantare una produzione artigianale di manufatti di lana con tecniche innovative per pezzi unici.

Le ferie accumulate negli ultimi due anni gli permisero di dedicarsi al suo progetto. Ogni giorno un’idea nuova messa su carta e accompagnata da un bozzetto.
Che energia!
A volte si sentiva così eccitato e contento che faticava anche a dedicarsi al riposo e agli esercizi per il suo piede.
Appariva in ottima forma, bel colorito, sguardo allegro e disponibile ma aveva rallentato l’attività fisica e il piede ne risentiva.

Bernardo insisteva  con il  padre per uno spazio polifunzionale al posto di una zona solo commerciale da sfruttare per incontri, conferenze e all’occasione anche per concerti.

Per prima cosa voleva studiare l’acustica, era convinto che si creasse già una situazione magica in quello che era il granaio e che sarebbe diventato lo spazio di relazione. Quando Nuvoletta entrava nel granaio e si metteva a belare, i suoni salivano e si modulavano come non sentiva da altre parti.

I lavori proseguivano con qualche modifica data da idee e desideri che sopraggiungevano, nel laboratorio di Giulio si riparavano le assi per i pavimenti recuperando vecchie botti.

Anche gli arredi accatastati nel magazzino  della casa del nonno ritrovavano nuova vita.

Bernardo sentiva di non appartenere più al mondo di Milano.

Amelia era arrivata lì di sabato mattina, si era persa per i poderi del Mugello prima di individuare la tenuta, non le era dispiaciuto  però vagare per quella campagna fresca e coltivata.

Aveva trovato  un bel fermento al Cerreto, betoniere in movimento, assi, pietre,  montagne di sabbia, era tutto un cantiere, solo il giardino era risparmiato.

Le era venuto incontro, da sotto il grande cedro, un giovane alto e riccioluto, dolce, aggraziato eppure forte e deciso, con il piglio di chi la vita la sa affrontare.

Appena si era mosso verso di lei aveva notato quel suo modo di camminare un po’ difficile  ma che subito le aveva ispirato tenerezza e simpatia.

Aveva il viso colorito dal sole e i capelli impolverati con un ciuffetto di lana che dondolava da un lato, frutto delle coccole che dedicava a Nuvoletta.

Alla luce chiara della campagna  lui si era lasciato incantare dal modo di camminare della ragazza e dai colori tenui del completo che indossava.

I capelli lunghi che ondeggiavano la proteggevano  e allo stesso tempo  la valorizzavano. Lui si era scusato per non aver ancora potuto fare una doccia ma era arrivato un camion con le pietre da Firenzuola e aveva dovuto aiutare a scaricare. Le aveva chiesto se era la nuova collaboratrice di Brigitte, il suo architetto, ma Amelia aveva risposto che era un’ospite del nonno.

Alla fattoria il tempo sembrava essersi fermato da quando Amelia era arrivata, passavano i giorni e i lavori procedevano senza intoppi, si cominciavano a vedere ambienti luminosi e colorati, il granaio poi era diventato uno spazio davvero sorprendente.

Amelia si muoveva con discrezione, osservava e faceva lunghe camminate per i campi.

I genitori di Bernardo erano discreti con lei, non indagavano sul suo vissuto, si viveva all’oggi.

Ormai erano molti i momenti che i due giovani passavano insieme, per conversare sull’arte in Toscana, sulla musica, litigare su Verdi o Puccini, andare per mercati.

Bernardo aveva fatto accordare il pianoforte per i brani che lei studiava ogni giorno.

La presenza della ragazza siciliana si sentiva ovunque, anche nelle scelte che  garbatamente aveva suggerito sull’utilizzo dei vecchi arredi.

 “La scoperta”

Quel giorno Amelia entrò nella grande sala con il pavimento di marmo ben lucidato e dove la credenza con intagli floreali metteva in risalto l’antico splendore.

Tre porte di legno massello con gli stipiti imponenti portavano in altre stanze, i grandi dipinti alle pareti e la penombra le suscitavano inquietudine così accelerò il passo, ma la luce proveniente dallo studio di nonno Lapo la spinse a soffermarsi: una grande libreria, un grammofono ancora giovane appoggiato su un tavolino intarsiato e una scrivania stile déco.

Girava lo sguardo dappertutto per non farsi sfuggire nulla poi i suoi occhi si soffermarono con discrezione su quelle foto, immagini di donne che mostravano la loro bellezza con grazia e semplicità e di uomini che la scrutavano con aria severa ma benevola; poi il suo sguardo fu catturato dalla foto di un bambino, avrà avuto otto o nove mesi, biondo, con le guance paffutelle, sdraiato prono su un grande letto, sembrava che la guardasse Era la stessa foto che aveva visto sul comò di nonna Lina, non sapeva chi fosse perché la nonna non amava parlare di quel bambino, nemmeno il nome si sapeva.

Ma come poteva essere? Perché la stessa foto stava lì? Una in Sicilia e l’altra in Toscana!

Amelia era confusa, disorientata, non riusciva a darsi una risposta, prese la foto e scappò chiudendosi nella sua camera, la riguardò e nel bambino vide gli stessi occhi di Bernardo: quale connessione c’era tra lui e sua nonna?

Dalla finestra della camera osservò la campagna intorno, fu invasa dai rumori che per mesi le avevano tenuto compagnia, il belare delle pecore, l’abbaiare dei cani, il muggito delle mucche, il parlottio e lo scalpiccio degli operai che andavano e venivano, il tonfo degli attrezzi riposti sotto i loggiati e pensierosa tenne fra le mani quella lettera, di nuovo si trovava di fronte ad una scelta. Non avrebbe voluto lasciare il Mugello, la tranquillità che quel luogo le aveva regalato dopo la separazione da Duccio, non avrebbe voluto lasciare Bernardo ma quell’amore da poco nato era presto diventato forse impossibile e lei doveva capire, scoprire la verità.

Aveva ricevuto proprio il giorno prima quella lettera e forse il destino voleva aiutarla. La lesse di nuovo.
Stava nascendo una scuola di canto a Catania e ne avrebbero affidato la direzione a lei.

Aveva studiato con profitto, si era laureata al Conservatorio e poteva, anzi doveva accettare quel ruolo che le avrebbe permesso di restituire qualcosa di sé alla sua terra. La parentesi toscana finiva lì. Un lavoro così importante avrebbe giustificato agli occhi di tutti quella partenza improvvisa, non sarebbe stata necessaria nessun’altra spiegazione e anche Bernardo avrebbe capito.

Quando decise di partire aspettò che non ci fosse nessuno da salutare.
Osservò per l’ultima volta la campagna complice del suo amore, poi lasciò cadere le lacrime liberamente senza alcun freno. Dietro di sé aveva lasciato una lettera.

Caro Bernardo,
in te ho trovato l’amore che ho sognato da sempre, quello che fa parlare il cuore, quello che si legge negli occhi, so che soffrirai per la mia partenza, anch’io ne soffrirò ma devo mettere ordine agli eventi che riguardano la mia vita e forse anche la nostra.
Quando saprò la verità tu sarai la prima persona a sapere.

Continua a sognare…se ci crediamo i sogni qualche volta si avverano.
Amelia

Impiegò due giorni per raggiungere la Sicilia fermandosi a dormire in un piccolo paese della Calabria, non voleva arrivare troppo stanca.
Aveva avvertito i suoi solo qualche ora prima per non sentirsi tempestare di domande e quando entrò in casa la guardarono con aria interrogativa, lei tirò fuori la lettera del conservatorio e la lesse, ne furono tutti felici, orgogliosi e l’abbracciarono con vigore.

Le rimanevano due giorni di tempo prima di prendere servizio, doveva fare ordine tra la confusione delle ultime cose accadute e trovare il coraggio di affrontare nonna Lina.
L’occasione si presentò la mattina seguente, la nonna si era alzata come al solito presto e le aveva preparato il dolce  alle mele, il suo preferito; quando Amelia era andata in cucina per la colazione l’aveva trovata lì, intenta a fare il caffè.
Non c’era nessun altro in casa e lei era ancora assonnata, non aveva voglia di affrontare l’argomento ma la nonna le fece subito mille domande sul suo amico, erano anni che non si vedevano, le chiese come stava di salute, come andavano le cose nella tenuta, come stava …..sua figlia… voleva sapere tutto.

Sua figlia…??

Il sonno le era passato e tutto le apparve chiaro, scappò di corsa in camera a prendere la foto che aveva voluto portare con sé e senza dire una parola gliela mostrò.
Nonna Lina impallidì, la prese e la portò al seno, poi con gli occhi lucidi guardò la nipote e  incominciò a raccontare in un dialetto siciliano che anche Amelia faceva fatica a capire.
-Ero molto giovane e bella, così dicevano, la mia vita era come quella di tutte le altre ragazze, ogni giorno uguale a un altro, monotono, noioso. Nel pomeriggio ci sedevamo sulla soglia di casa a narrare delle poche cose che succedevano in paese, l’unica nota piacevole era fare lo struscio lungo il corso nelle serate estive, ma io ero diversa dalle mie amiche, non mi bastava tutto ciò e quando seppi che la contessa Sassano cercava una ragazza che l’aiutasse in fattoria mi presentai subito.

Lina si rattristò ancora di più, faceva fatica a parlare poi si schiarì la voce e continuò:
-Fu lì che conobbi Lapo, il nonno di Bernardo, era alto, bello, sempre allegro, con la battuta pronta e ci innamorammo subito, fu un amore dolce e profondo, nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro, ma ben presto ci sentimmo travolti da un triste destino che ci obbligò a rinunciare per sempre al nostro amore.

Amelia ascoltava la nonna in silenzio, non era arrabbiata con lei, anzi ora le faceva quasi tenerezza, sembrava che raccontasse la sua storia.

-Sapevo che era già sposato con una ragazza di Firenze, ma il nostro amore era più forte di ogni altro legame e quando rimasi incinta mi portò con sé dicendo a mio padre che sua moglie aveva bisogno di una ragazza di fiducia. Lei non riusciva ad avere figli perciò quando seppe la nostra storia ne fu quasi felice, perdonò suo marito e mi propose di adottare il bambino. Nacque una bellissima bambina che io potei tenere con me solo tre mesi, dovevo ritornare a casa con il mio dolore.

A questo punto Lina era spossata, respirava con fatica e piangeva, piangeva senza emettere alcun suono come aveva fatto per tanti anni nascondendo a tutti il suo segreto.

-Era buono Lapo e innamorato, separarsi fu una grande sofferenza per tutti e due, erano altri tempi quelli, mio padre mi avrebbe tolto la parola se gli avessi detto la verità, non potevo entrare con violenza nella loro mentalità, c’erano delle regole da rispettare. Ho pianto in silenzio finché non ho avuto più lacrime da versare.
Lapo è stato sempre gentile con me, mi mandava notizie della bambina,  sapevo tutto di lei ma non la potevo abbracciare. Quando nacque Bernardo mi mandò la sua foto che io ho custodito con amore senza dire mai chi fosse.

Amelia si sentiva lacerata, squarciata dentro non solo per la triste storia della nonna ma anche per il suo amore impossibile.
Lina era lì davanti a lei, sembrava più piccola del solito, curva su se stessa, il volto rivolto sul grembo e un forte imbarazzo che le impediva di guardare in faccia la nipote.

-Non mi giudicare Amelia.

-E chi sono io per giudicare? Non hai sbagliato tu nonna, erano i tempi sbagliati, ora che so ti voglio ancora più bene.

L’abbracciò con delicatezza e le dette un bacio sulla guancia bagnata.

Doveva dire a Bernardo la verità, lui avrebbe capito, erano giovani e il dolore di un amore irrealizzabile si sarebbe pian piano attenuato.

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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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