Amore inossidabile – di Nadia Peruzzi

Mary Jo era eccitata mentre si stava guardando allo specchio.
Sensazione nuova per lei che non era abituata a quelle situazioni.Con Jumpy Jim quella sera sarebbe andata al Blue Night. Da un po’ si vedeva poco in tiro e decise di darsi una gonfiatina prima di uscire.
Sentì un grande sferraglio là fuori e immaginò che Jumpy fosse arrivato. Era a bordo di un bolide con 6 ruote tanto alto che le fu difficile salirvi con le sue gambette. Dovette darsi un po’ di slancio e dopo un salto o due riuscì a prender la mira e ad atterrare sul sedile del passeggero.
Rimase abbagliata dal luccichio accecante che emanava Jumpy. Lui sì che era in tiro. Alto, snodato, lineamenti decisi e scolpiti nel metallo.
Uno splendore di ragazzo: ops di robot, si disse Mary Jo. Diverso da quelli teneri come il burro e soffici come un bombolone ripieno di gomma piuma in mezzo ai quali era stata.
Mary e Jumpy erano figli di una strana epoca in cui, dopo la grande glaciazione, i pochi umani rimasti non riuscivano più a comunicare fra loro parlandosi direttamente e avevano perso man mano anche l’abitudine a sfiorarsi, toccarsi, abbracciarsi. I sentimenti man mano si erano inariditi, i cuori non battevano più per amore e i rapporti fra maschi e femmine si erano fatti più impersonali.
Mary e Jumpy non avevano una mamma e un papà, nascevano assemblati da una catena di montaggio. Per bambole gonfiabili, lei, per robot lui.
Mary era programmata su ruoli precisi, quelli che alcuni uomini avevano sempre attribuito alle femmine. Oggetti di piacere, senza sentimentalismi. Così per fare, quando si pensava di aver voglia e senza complicazioni.
Almeno Jumpy Jim era stato programmato anche per altro. Lavare le macchine, tener pulito e curare un giardino, tuttofare per la casa. Sapeva riparare di tutto e cucinava pure, visto che una delle sue schede conteneva tutte le puntate dei Menù di Benedetta, prelibatezze comprese.
Una sera Mary Jo e Jumpy Jim si ritrovarono sullo stesso furgone, direzione non si sa dove.
Fraternizzarono subito e si misero a fare conversazione .
La voce di Mary era dolce e vellutata. Non poteva essere altrimenti nascendo dalla massa gommosa e morbidissima da cui era composta.
Quella di Jumpy era tagliente come il metallo che lo avvolgeva tutto. Parlava a scatti perché, per un piccolo difetto di fabbricazione, ogni tanto i circuiti della parola si bloccavano.
Si scoprirono diversissimi e fu una bella scoperta dopo la monotonia del magazzino nel quale erano stati stipati in mezzo a migliaia di cloni di se stessi. Si piacquero, senza sapere perché.
Il furgone li depositò in via delle Camelie. Mary a casa di un grasso e brutto individuo di nome Red Light che abitava con una madre anziana e ossessiva.
Jumpy Jim, nella casa vicina, che apparteneva alla famiglia Goblin.
Mary Jo era triste per le cose che la costringeva a fare il signor coso. Aveva sperato che l’avessero scelta per la sua scheda di pregiatissima e fidatissima governante per vecchie signore in difficoltà e invece si ritrovò a dover svolgere il compito al quale teneva di meno. Quello di bambola squillo con big data derivanti da testi sconci e pornografia di basso livello per uomini con turbe sessuali al limite del maniaco e così avari di sentimenti da esser rinsecchiti fino all’impotenza.
A Jumpy le cose andavano meglio. Aveva tanto da fare per rassettare la casa e tenere in ordine il giardino e la piscina. La padrona di casa spesso era fuori per lavoro, quindi le sue prestazioni aggiuntive di robot oggetto si limitavano a una, due volte al mese. Spesso doveva dedicarsi ai bambini, cosa che lo faceva divertire molto.
Si tenevano aggiornati l’una dell’altro quando capitava che si trovassero in giardino. Jumpy vedeva che Mary era triste e ogni giorno più sciupata. Quelle belle curve che aveva notato sul furgone stavano diventando flosce, il colore tendeva allo sbiadito e al palliduccio. Doveva far qualcosa.
Per questo l’aveva invitata al Blue Night. Voleva strapparla dalle grinfie di quel panzone almeno per una sera. Si sentì felice quando la vide salire sul suo bolide: si era truccata ed era allegra.
Praticando gli umani, man mano, avevano imparato e ridere e a piangere, a provare paura e ansia, rabbia e rancore e a avere qualche vaga idea di cosa volessero dire felicità e infelicità.
Sedendo accanto e guardandosi Mary Jo e Jumpy Jim tornarono col pensiero a quel viaggio durante il quale si erano trovati vicini per la prima volta. Si scoprirono diversissimi, ma l’attrazione fra loro era ancora forte come quel primo giorno. Mary quasi cinguettava, mentre Jumpy ogni tanto faceva scintille e qualche sfrigolio per colpa di alcuni fusibili eccessivamente sotto pressione. Si rifugiarono in un posto tranquillo per stare un po’ da soli. Si amarono appassionatamente cercando ispirazione in quelle immagini in bianco e nero che talora vedevano passare in quella scatola rettangolare che i loro padroni chiamavano televisione.
Mary, che di solito era fredda e distaccata e rispondeva solo a comando si sentì coinvolta da questo ragazzone strano con la sua andatura e i suoi gesti un po’ a scatti. Aveva lunghe dita snodate che quando la afferravano alla vita le davano brividi di piacere e le facevano dimenticare il panzone, quella grande arpia di sua mamma e l’armadio pulcioso dove la riponevano la mattina dopo l’uso notturno. Jumpy non aveva idea che un corpo potesse essere così morbido, vellutato, soffice, tenero e accogliente come quello di Mary.
Non voleva più lasciarla.Tanto meno voleva rimetterla nelle mani di quel rozzo e trasandato uomo con quei pantaloni zozzi, quella canottiera tutta grigia, macchiata di sugo e scucita e in balia di quella vecchia cattiva e sdentata che non aveva un briciolo di sentimenti per nessuno.
Convinse la signora Goblin che si sentiva solo e che aveva bisogno di una compagna. Le disse che lì accanto viveva Mary Jo per la quale aveva cominciato a provare sensazioni che non aveva mai provato prima.
Lo aveva aiutato quel periodo di frequentazione con gli umani e la vita che scorreva in famiglia. Per qualche motivo il programmatore che aveva lavorato su di lui e Mary aveva deciso di inserire, insieme alle altre, una scheda dei sentimenti e quella piano piano aveva iniziato a funzionare .
Lasciare Mary prigioniera di quella famiglia rozza, grezza e arida di sentimenti lo faceva soffrire. Voleva sposarla. Sarebbe stata una brava collaboratrice per la famiglia, visto che era stata programmata anche come governante e educatrice per i bambini.
La signora Goblin si convinse presto, tanto più che nelle sue lunghe assenze era costretta ad affidarsi a governanti per i bambini con cui non sempre si era trovata bene. Avere Mary in casa insieme a Jumpy, pensò, avrebbe risolto molti problemi.
Si sentì un po’ impacciata e fuori luogo quando suonò alla porta dei vicini per chiedere la mano di Mary per conto di Jumpy.
Con grande sorpresa di tutti il signor Red Light non oppose alcun rifiuto, anzi fece in modo che la sera stessa Mary si trasferisse dai Goblin.
Non fu perché si era intenerito pensando ai sentimenti che erano in gioco. Si era semplicemente stancato di Mary e dei suoi giochetti e aveva ordinato una sua sostituta programmata per cose molto più hard e senza i freni inibitori che ogni tanto si attivavano nei circuiti di Mary.
Mary e Jumpy si sposarono di lì a una settimana.
Lei aveva rimesso a posto tutte le sue curve e le sue rotondità. Lui era passato da un meccanico per farsi oliare bene le giunture. Aveva fatto anche un passo al laboratorio per vedere se si poteva far qualcosa per correggere quel suo parlare a scatti, ma non ci fu verso. Il circuito era malfatto e non si poteva riparare senza compromettere il resto.
Il suo “Si, lovoglio!” Fu detto con una lunga pausa in mezzo, ma Mary non se ne preoccupò perché conosceva quel difetto, e attese anche il resto senza patemi.
Era raggiante. Labbra a cuore su cui la signora Goblin aveva messo un bel rossetto scarlatto. Aveva scelto un abitino semplice ma elegante che le copriva le gambette che la costringevano a procedere a saltelli come una ballerina classica e accentuavano la flessuosità delle sue forme procaci.
Fu bellissima la prima notte. Mary non dovette attingere alla sua scheda hot e poté finalmente essere se stessa dandosi con passione a Jumpy e perdendosi fra le sue mani e braccia d’acciaio.
Rimase stupita per ciò che il programmatore birichino si era inventato per le parti più segrete del suo Jumpy e che furono una piacevole scoperta dopo il flaccidume privo di vita del signor Red Light, probabilmente castrato da quella madre possessiva e priva di cuore.
La targhetta che rimandava al modello ispiratore recava la scritta “ Rocco Siffredi”. Un nome che a Mary non diceva nulla e tuttavia lei si scoprì ogni volta a ringraziarlo senza farsi sentire da Jumpy che in fondo era solo un clone ben fatto, per non offendere il suo amor proprio di robot maschio possente.
Andarono a vivere vicino al garage dei Goblin in una dependance costruita apposta per loro. Avevano tutto ciò che serviva. La privacy, l’olio per le giunture di Jumpy, gli attrezzi per le piccole riparazioni, la pompa a pressione per riempire le forme rotondeggianti di Mary ogni volta che perdevano smalto.
Le canticchiava felice, lui la guardava rapito e un po’ a scatti le parlava d’amore e di sentimenti. Per fortuna, diceva, i programmatori non erano stati insensibili e si erano inventati il modo di far emergere con il tempo anche in loro sensazioni e sentimenti.
Quell’ammasso di metallo e quella tonda e soffice bambolina, per quanto strani fossero a vedersi, riuscirono a vivere insieme felici per molti anni.
Almeno fino a che, in mezzo alle giunture di Jumpy, la ruggine prese il sopravvento e nessun tipo di olio fu in grado di lubrificarle. Si bloccò pian piano e un brutto giorno Mary lo trovò immoto e inerte.
Lo seppellirono in giardino. Mary volle piantare sulla sua tomba un letto di rose rosse, ricordo dei loro giorni appassionati. Si scoprì devastata da un dolore profondo. Non resse che poco tempo senza il suo Jumpy.
Si lasciò morire un giorno di estate lanciandosi in mezzo alle rose. Mentre sentiva le spine che bucavano senza pietà il suo involucro di bambola gonfiabile e sibili dell’aria che usciva pian piano, riuscì ad aspirare per un ultima volta il profumo intenso delle rose che le riportava un po’ anche del profumo del suo amato Jumpy.
La trovarono la mattina dopo piatta, prosciugata e priva di forme stesa sulla tomba a braccia allargate, quasi a volerlo stringere tutto in un ultimo, tenero e appassionato abbraccio.
Originale ,.bello,la fine mi ha riempito gli occhi di lacrime
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