Sfilacciare e altri rumori – di Cecilia Trinci

Non si seppe mai come fosse accaduto. Probabilmente era stato un cedere, uno sfilacciarsi lento giorno per giorno, o per meglio dire un attimo dietro l’altro. E pensare che c’erano state catene di giorni ruzzolate in quel progetto. Stanchezza mai. Semmai quell’euforia, quel senso di inappagata curiosità che portava a cercare soluzioni, risposte, sfide. Era questa droga benefica che faceva scorrere il tempo senza farsi sentire. Il tempo che non si sente è il tempo giusto, si dice. Ma ora passava, semplicemente, con le sue lancette. Si infilavano nelle ore girando le punte, facendole sanguinare di inerzia, spremendo quello che restava di ombreggiature sui desideri. Non era solitudine, piuttosto un martellare di quella delusione che comunque si accaniva sulla storia. Non era andata come avrebbe voluto. Agiva, certo, rispettava gli impegni come no? Usciva, tornava, preparava, scriveva. Camminava. I suoi passi lasciavano echi intorno. Tacchettava da sola per le vie e guardava solo davanti a sé per non vedere i nessuno che erano al suo fianco. Eppure niente costruisce di più di un’amicizia concreta, che si sporca le mani nella terra, che si rotola ridendo nella vita, che nasce dal galoppare nella stessa direzione. Rumori, erano rimasti i rumori e echi scombinati che non cucivano parole . E più di tutto rimaneva la tristezza di certe cene multiple, tintinnar di bicchieri, scontri di piatti, urla, urla, urla. E silenzio dentro.
…questa volta dire GRAZIE Cecilia è poco…
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Penso che chiunque abbia provato almeno una volta l’intreccio di emozioni che descrivi. Indipendentemente dalla situazione vissuta… E sennò che maestra saresti?!
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Il rumore del tempo che passa, il rumore dello smarrimento,il deserto del compimento, il rumore della solitudine. Tutto questo arriva in modo forte. Molto bello!
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