Vetri rotti

Ieri era Pasqua …oggi  è quasi Natale – di Stefania Bonanni

“Paolo, bisogna ci pensi tu. C’è un mare di nettezza da buttare. Li ho messi in terrazza, i sacchetti”

“Ma sei impazzita? Ci saranno dieci sacchi, ma chi l’ha fatto, tutto questo sudicio?”

“Chi l’ha fatto! Qui si mangia, si spacca l’uovo, ci si diverte, e poi al resto non ci pensa nessuno! ci saranno un paio di sacchi pieni delle carte dorate delle uova di cioccolata. Che ridere però: non c’è nulla che si possa paragonare a quegli occhietti spalancati, e a quel cazzottino che cercava di fare presto, a spaccare tutto! Certo, poi restano le carte da buttare! Poi ci sono i resti del pranzo, le bottiglie di plastica, poi da sole quelle del vino, dello spumante, poi varie carte delle confezioni dei regali. Si, però hai visto come erano tutti sereni, diventati piccini in un attimo!”

“Si si, ma alla fine se ne sono andati, e noi qui a buttare il sudicio!”

“Dai, non fare il brontolone. Cosa volevi? Che rimanessero qui? Loro se ne vanno sempre, ma è così bello vedere che sono contenti quando tornano!”

“Attenta, hai messo i sacchetti in bilico, sull’orlo delle scale!”

“Oddio, pigliali, pigliali, corri….”

Skresh, stromp, spam spam, splim (queste ultime erano le bottiglie di vetro…)

“Stefi, non ce l’ho fatta! Tutto rotto. Ed il giardino pieno di rifiuti”

Era Pasqua, ieri. Intanto siamo quasi a Natale.

Affanno di vecchi cassetti

I cassetti del vecchio cassettone – di Sandra Conticini

Ormai era vecchio, tutte le volte aprire quei cassetti era davvero una bella fatica. Era il cassettone della nonna dove, a distanza di anni, c’era ancora il suo corredo con lenzuola, federe e asciugamani ricamati a mano e con le sue cifre. In ogni cassetto c’era un sacchettino di lavanda che dava odore di fresco a tutta quella biancheria rigorosamente pulita, ma anche ingiallita dal tempo.

Era un mobile molto importante e difficile da spostare, con lo specchio enorme, agli occhi di una bambina. Il piano era di marmo grigio e sopra c’era la foto del matrimonio dei nonni, quella di uno zio morto giovane e un Gesù Bambino sotto una campana di vetro che, nel periodo di Natale veniva messo vicino al presepe, ma ci sfigurava, perchè era troppo grande nei confronti degli altri personaggi…

 Era molto difficile aprire e richiudere i cassetti,  molto pesanti e un po’ imbarcati dall’umidità, nonostante  la mamma e la zia passassero la cera sulle guide  per farli scorrere meglio.

Ogni tanto mi chiedo che fine abbia fatto… quasi certamente sarà stato bruciato in giardino come diverse altre cose che non avevano trovato posto nelle nostre case ma che ora ci piacerebbe avere.

Un pizzico di Beethoven

SOLO MUSICA – di Rossella Gallori

Stasera mi fermo qui, ho già la testa piena di rumori, forse l’unico che tace è il mio cervello che non vuol capire, mi fermo alla musica, al suo accarezzarmi, senza invadermi, senza domande, sento il  cuore stufo di non aver emozioni, di non mettersi più alla prova…che stupida commedia la vita, se non ci fossero pesanti tende di velluto, e morbide frange di canutiglia  dorata, poltrone di velluto cremisi…..mi domanderei : sono viva?…..ma lento il sipario si apre, siamo in scena…silenzio…

Motorino in partenza lenta

Il vecchio Iso del babbo – di Laura Casati

Il vecchio  Iso tarda a partire, gracchia, sbuffa, è lento, ma tu non ti perdi d’animo , come ingenere sai fare, hai una marcia in più perché riesci da un niente a farci trascorrere giornate serene e gioiose. Oh via, si parte veloci verso la meta, amo la velocità, come te, mi eccita, tu sei sicuro su per la via Faentina verso il tuo paese natio. Anche la Via Chiantigiana non ti dispiace, là c’è sempre qualche parente della mamma da andare a visitare e bere magari un “ vinsantino”. Così  il rumore molesto della moto che poi ha deciso di prendere il via si trasforma in un’armonia di sapori, colori, emozioni.. il gracchiare diviene rapsodia aperta ad ogni suono che si intona con il tema del giorno. Che avventura! In genere rientriamo tardi la sera, a volte facciamo delle merende abbondanti in queste piccole trattorie di campagna, altre volte rimaniamo a cena da parenti. Prima di riaccendere la moto ci chiedi: Chi di voi due è più stanca non venga davanti, potrebbe essere pericoloso se si addormenta.

Ci hai dato, babbo, la spensieratezza, la semplicità, che  sono state la tua forza.

Sgocciolare dalla gronda

Ultime gocce  – di Vanna Bigazzi

In questa “stanzetta dell’ultimo piano” mi rifugio, qualche volta, nelle giornate di pioggia: mi piace osservare, dall’ampia vetrata, le tegole luccicanti dei tetti bagnati.  Oggi è proprio la circostanza ideale: cielo grigio intenso, clima fresco, quasi freddo. Ha smessodi piovere. Le ultime gocce scorrono, a intervalli irregolari, sulle grondaie,con suono metallico:  cornice che accoglie il mio stato d’animo opaco, lento e svogliato. In questi momenti non c’è niente da decidere, c’è solo da lasciarsi andare alla nebbia: il mio pensiero è libero e inerte al medesimo tempo, una strana suggestione di spazio pervade questa prigione senza mura.

Pallina da ping pong

Ricordi e rimbalzi – di Chiara Bonechi

In fondo alla spiaggia il mare, davanti cabine e lastricato, altalene e tavoli da gioco, questa la tipologia dei tanti bagni versiliani lungo la passeggiata e il suo non faceva eccezione.

Era arrivato da solo nel primo pomeriggio assolato, aveva deciso di uscire mentre i suoi ancora riposavano, un po’ presto per l’appuntamento ma la voglia di incontrare quell’amico dopo un intero anno era talmente intensa che non poteva più aspettare in casa.

L’attesa lì al bagno gli sarebbe sembrata più breve. E fu per ingannare quell’attesa che chiese al bagnino racchette e pallina e si avviò al tavolo da ping pong. Faceva frullare la pallina con abilità, a ritmi diversi e il rumore del rimbalzo riempiva il tempo dell’attesa. Ogni tanto si fermava per guardare all’ingresso, lo avrebbe voluto vedere arrivare e gli sarebbe corso incontro.

Poi uno sguardo all’orologio, era ancora presto e battendo la racchetta sulla pallina riprese il ritmo del gioco.

Una voce lo scosse, il suo nome arrivava come un suono, lui era lì e gli sorrideva.

In due si poteva finalmente giocare la partita prima di correre a tuffarsi in mare.

I cardini cigolavano

Dormiveglia del fuoco – di M. Laura Tripodi

Era stata una buona annata. Le castagne raccolte chiacchieravano fra loro stese su grandi teli, in capanna. Ora si doveva scegliere quelle piccole da mettere a seccare in cannicciaia per fare la farina. Il fuoco era stato preparato per tempo, ma la porta dopo tanti anni e tante intemperie era decisamente da risistemare.

Davino decise di farlo subito.

Lei resisteva, non voleva separarsi dai suoi cardini e cigolava, strusciava, raschiava. Finalmente dopo l’ultimo colpo secco cedette e fu distesa come un povero malato su due capre di legno. Gli attrezzi erano tutti allineati in attesa di lavorare  e un bimbetto di poco più di tre anni saltellava in cerca di qualcosa con cui giocare. Ma lì c’era solo roba pericolosa e fu allontanato bruscamente. Mentre i suoi passettini impermaliti si perdevano nel cortile di casa l’odore del fumo si spandeva intorno, come un incitamento a sbrigarsi.

Davino cominciò a lavorare e in men che non si dica la porta riprese un aspetto sano. Le donne si affrettavano a trasportare le castagneperchè il fuoco era come entrato in uno stato di dormiveglia.

Nell’aria si era perso il senso dell’aspettativa.

Tutto era tornato tranquillo: le castagne a seccare, la porta sui cardini, il calare della sera su quel profumo di  autunno inoltrato.

Sfilacciare e altri rumori

Sfilacciare e altri rumori – di Cecilia Trinci

Non si seppe mai come fosse accaduto. Probabilmente era stato un cedere, uno sfilacciarsi lento giorno per giorno, o per meglio dire un attimo dietro l’altro. E pensare che c’erano state  catene di giorni ruzzolate in  quel  progetto. Stanchezza mai. Semmai quell’euforia, quel senso di  inappagata curiosità che  portava a cercare soluzioni, risposte, sfide. Era questa droga benefica che faceva scorrere il tempo senza farsi sentire. Il tempo che non si sente è il tempo giusto, si dice. Ma ora  passava, semplicemente, con le sue lancette. Si infilavano nelle ore girando le punte, facendole sanguinare di inerzia, spremendo quello che restava di ombreggiature sui desideri. Non era solitudine, piuttosto un martellare di quella delusione  che comunque si accaniva sulla storia. Non era andata come avrebbe voluto. Agiva, certo, rispettava gli impegni come no? Usciva, tornava, preparava, scriveva. Camminava. I suoi passi lasciavano echi intorno. Tacchettava da sola per le vie e guardava solo davanti a sé per non vedere i nessuno che erano al suo fianco.  Eppure niente costruisce di più di un’amicizia concreta, che si sporca le mani nella terra, che si rotola ridendo nella vita, che nasce dal galoppare nella stessa direzione. Rumori, erano rimasti i rumori e echi scombinati che non cucivano parole . E più di tutto rimaneva la tristezza di certe cene multiple, tintinnar di bicchieri, scontri di piatti, urla, urla, urla. E silenzio dentro.