Cellofan rosso

Il regalo più bello – di Carmela De Pilla


Aveva pensato a tutto: ognuno doveva ritrovare nella casa gli stessi oggetti che aveva lasciato l’anno precedente.
I letti erano pronti, sul suo aveva messo la coltre, quella bella, rossa da una parte e rosa dall’altra, il salotto, trascurato per quasi un anno aveva ripreso vita e la cucina, semplice e modesta stava respirando il calore di una famiglia ritrovata.
Anche quest’anno insieme, il tempo non aveva cancellato nulla.
La stanchezza accumulata in quei giorni non la rendevano affaticata, aveva il solito sorriso e quella luce negli occhi di chi sta già assaporando il desiderio di averli ancora una volta lì, nella sua casa.
L’aria di Natale pervadeva le stanze e avvolgeva le piccole cose che lei con cura rimetteva ogni anno nel solito posto.
Il piccolo albero nell’ingresso e il presepe la preparavano agli abbracci.
Immersa in quest’atmosfera sembrava più giovane, invece il tempo era passato, era passato per tutti, ma ancora di più per lei che sentiva il peso di una vita sofferta.
Ma oggi no, non poteva essere triste, avrebbe finalmente riabbracciato i suoi tre figli tanto amati nella propria solitudine
Eccoli, festosi e sorridenti; prima gli abbracci poi le tante domande poi un piccolo regalo per lei.
Era un pacchetto abbastanza grande, avvolto in un “cellofan” rosso, lo prese timidamente, non era avvezza ai regali e lo appoggio’ sulle ginocchia.
Le sue mani ruvide e contorte dal duro lavoro incominciarono a danzare su quella carta provocando un suono senza ritmo che rendeva ancora più piacevole l’attesa.
Sembrava divertita e continuava a suonare alzando di tanto intanto gli occhi verso di noi.
Un ultimo scricchiolio ed ecco l’atteso regalo: un libro di fiabe.
Lo strinse al petto, ci sorrise poi con voce commossa ci disse:- Grazie.
Aveva fatto solo la terza elementare, la mamma, ma quando la vidi prendere di nascosto un mio libro di letteratura, troppo difficile per lei, capii che quel libro sarebbe stato molto gradito.

Angolo delle curiosità e dei modi di dire

L’amico Andrea Bettarini ci dona questo racconto che è anche un piccolo gioco letterario. Mentre faceva delle ricerche sul modo di dire “a uria” trovò altre informazioni che lo portarono altrove, da cui…..

Un giorno mi passò per la testa di pubblicare questo breve racconto:

Questaè la storia di un re che per la conquista di nuove terre per il suo popolo e per la brama di grandezza mosse guerra alla città vicina cingendola d’assedio. Dal sicuro della sua reggia seguiva le operazioni militari condotte dal fedelissimo generale Obai. Tra i migliori guerrieri aveva schierato le trenta guardie del corpo delle quali faceva parte il devoto Iuar. Un mattino, all’alba, il re Vidad svegliatosi salì sul giardino pensile dal quale poteva godere della vista della sua città avvolta ancora dal torpore notturno. Il suo sguardo fu attratto da una bellissima forma femminile che, nuda, faceva il bagno aiutata da una giovane serva. Il re Vidad volle sapere chi era quella donna che lo aveva incantato. Gli fu risposto che si trattava di Aebasteb moglie del guerriero Iuar. Il re mosso dalla brama di possesso fece condurre Aebasteb a palazzo, manifestò alla donna il suo ardente desiderio, e Aebasteb, obbediente, si concesse al suo sovrano. Qualche tempo dopo Aebasteb si accorse di essere incinta, e della cosa fece partecipe re Vidad. Il re pensò di risolvere il problema concedendo al fido Iuar una licenza in maniera da potersi riposare dalle fatiche della guerra e poter giacere con sua moglie e far ricadere su Iuar, con l’inganno, la maternità di Aebasteb. Iuar rese grazie al suo sovrano per la licenza concessa, ma espresse il desiderio di rimanere ospite della guardia reale e non raggiungere sua moglie. Motivava il suo intento ritenendo ingiusto godere degli agi di casa mentre i suoi compagni pativano enormi sofferenze sui campi di battaglia. Il re Vidad, visto fallito il suo progetto ricorse a un espediente ancora più infame. Dette a Iuar un messaggio da consegnare al generale Obai al suo rientro nei territori di guerra. Il messaggio recava un ordine perentorio: Far combattere in prima linea Iuar, e nel culmine della battaglia, abbandonarlo in maniera che diventasse facile bersaglio per il nemico. Fu così che nell’attacco sferrato alle mura della città assediata il valoroso Iuar rimase isolato e fu ucciso. Il re Vidad, dopo il consueto periodo di lutto si unì in matrimonio con Aebasteb. Il ” Grande Spirito ” dio di quel popolo che nutriva grande ammirazione per re Vidad, si sentì offeso dal comportamento del suo protetto e volle punirlo. Il bambino, frutto della relazione adulterina, poco dopo la nascita si ammalò gravemente e, nonostante tutte le cure e gli sforzi disposti del re, morì…… La storia non terminò a questo punto. A chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui  la facoltà di concluderla a modo suo.

Qualche giorno dopo:

Questa è la storia di un re…….. Cominciava così il mio ultimo racconto breve. Con un po’ di divertimento, che mi sono concesso, ho cercato di depistare i miei amici lettori. Perdonatemi non c’era assolutamente malizia. Il racconto è tratto fedelmente dalla narrazione biblica della storia di re David. Fino a poco tempo fa conoscevo David come un povero pastorello eletto dal Signore per essere la guida del Popolo di Israele. L’intrepido giovane aveva sfidato il gigante Golia annientandolo col solo uso di una fionda. Figura eroica luminosissima  tanto da divenire simbolo, nella Repubblica di Firenze, di virtù e coraggio, contro i potenti nemici di allora. Recentemente ho letto nel secondo libro di Samuele che re David non era poi quel campione di virtù che fino ad allora avevo conosciuto. Ripeto il racconto è fedele alla narrazione biblica. Per imbrogliare un po’ le carte i nomi dei protagonisti li ho anagrammati, nulla più. Inutile dire che per chi vuol sapere come finì la storia, è bene rifarsi al profeta Samuele, senza dubbio persona certamente più autorevole del sottoscritto.

Terza passeggiata lenta per le vie di Antella

Verso Bàlatro con la guida di Roberta Tucci e la collaborazione di Patrizia Fusi

Racconti tra storia recente e storia più lontana l’antica Casa del Popolo con il suo teatro, le vecchie botteghe, il passato antifascista tipico di questa frazione di accesa fede comunista, le innovazioni dei sindaci coraggiosi soprattutto nel mondo della scuola, la famiglia FINZI, illuminata e aperta, il paesaggio splendido sotto un cielo tenue di dicembre e poi ricordi personali, nonni, fantasmi e……………tutto in  compagnia sempre piacevole

Brusìo

Contatti – di Vanna Bigazzi

Ascolto la radio, che bella musica! Mi lascio rapire dalla sua armonia, ne godo e mi sento in pace con me stessa: ne assaporo il ritmo lento, la delicatezza del suono. Ad un tratto si interrompe: un brusio anonimo, discontinuo, la sostituisce in modo brusco. Peccato! Subito la mia mano corre al cursore nella speranza di ripristinare quella melodia. È un blocco che genera ansia, come accade nella vita quando di colpo perdi la tua dimensione: qualcosa ha infranto il tuo equilibrio, tutto ti appare grigio come il brusio. Cerchi, cerchi,  perdendo la speranza; hai bisogno di ritrovare te stessa, non reggi il livello ansioso, potresti crollare…ma la speranza non ti molla, non puoi rimanere divisa. Il tuo istinto insiste, ti aiuta a ricongiungerti con l’altra parte del sé.

Il regalo di Natale

Regalo di Natale – di Mirella Calvelli

Il grande pacco troneggiava accanto all’albero di Natale, allestito con cura come ogni anno dall’estro della mamma.

Le mani della ragazzina bionda, strappano impazienti la meravigliosa carta lucida verde, brillante e, all’interno, di un argento accecante.

Non sta ferma quella carta, parla, guizza, soffocata dal lungo nastro di raso rosso,  che stanco e molle cade ricoperto  da una quantità infinita di paglia finta.

Sicuramente anche lei, la paglia, è reduce da qualche altro cesto natalizio, solo è ben conservata perchè quel meraviglioso riciclo lo ha eseguito la mamma, che non butta via nulla!!

Poco importa, se la carta è la testimonianza di qualche Pasqua fa e i nastri sono i ritagli del suo lavoro. E’ lei l’artefice minuziosa.

Il resto, la sorpresa è del babbo. Osserva impaziente, con le mani affondate nella giacca di tweed, dall’alto della sua magrezza.

Mentre l’investimento economico, è della nonna Lolla, che ride sorniona afflosciata sul divano.

 Un’associazione perfetta: idea, impegno, sorpresa e partecipazione economica. Che team!!

A distanza di oltre 40 anni la ragazzina ricorda  la corsa in garage, dopo aver afferrato la piccola chiave nera nascosta in quel laborioso sarcofago.

Gioiva, salendo e scendendo ripetutamente da quello splendido “Ciao” bianco. Rigorosamente di seconda mano, ma meraviglioso, agghindato a festa con gli stessi nastri rossi.

Al piano di sopra, intanto si parlottava e si riponeva la carta e tutti gli accessori, chissà quale sarà la loro prossima destinazione?

La faccina rossa, incorniciata dai lunghi capelli biondi, festosa, li ritrova tutti e tre entusiasti e sorridenti.

Li ringrazio ancora dal profondo del cuore, adesso che se ne sono andati, per l’infinità di sorprese e attenzioni nei miei confronti.

Vorrei riaverli tutti insieme e far scartare loro qualcosa di speciale.

Ma forse di speciale, è stato il fatto di essere stati insieme in alcuni momenti delle nostre vite, ognuno con il proprio ruolo, ognuno con le proprie  sorprese e ognuno con il proprio stupore.

Cespugliare ovvero andar tra cespugli

Una gita “infernale” – di Luca Di Volo

Eravamo partiti entusiasti e baldanzosi…Qualche bello spirito un po’ di giorni prima aveva proposto una specie di passeggiata a piedi, così parlando: Perché non si va, partendo dalla pista del Campolino (ai piedi dell’Abetone n.d.r), costeggiando l’Orrido di Botri per poi arrivare a Montefegatesi in Garfagnana? Se ci venite vi assicuro uno spettacolo mozzafiato..” E noi accettammo..

Vedremo poi quanto fosse grande l’incoscienza sua e nostra, ai limiti dell’irresponsabilità.., ma eravamo giovani, niente pareva superare le nostre ambizioni. Quindi,via….

Già la partenza (un pullman ci aveva portato lì e ci avrebbe ripreso dall’altraparte)..già la partenza, dicevo, dava un cattivo presagio: il sentiero era tutto in salita, e che salita..Per forza, mi dicevo, si parte dal basso di una pista da sci..era prevedibile, però, speranzoso, pensavo: vedrai, guadagnata la cima poi, il terreno sarà tutto pianeggiante…manco a dirlo, per pianeggiare il sentiero pianeggiava..,ma in che modo..irregolare, interrotto da burroncelli, fossatelli, pozzette d’acqua..uno spiritoso venne fuori con una battuta: ora non ci mancherebbero che le sabbie mobili..” Fu accolto con freddezza…Ahi, l’entusiasmo stava pericolosamente scemando, i piedi pestavano il suolo che rispondeva col frusciare dell’erba secca  dell’inverno privato della neve…ma alla fine si giunse al famoso “Orrido”..E qui ci sembrò che le nostre fatiche avessero avuto il loro premio: una visione orrifica stranamente attraente: una specie di fascino perverso….Il panorama poteva evocare quello delle Malebolge di dantesca memoria..infatti il solito professorino ci confermò che proprio a questo Dante si era ispirato per creare quel luogo infernale di delizie. Effettivamente, nella sua terrificante e struggente bellezza quello spettacolo poteva portare ad altri mondi e anzi, davvero, trasportarci “giù nel mondo perso..”

Ma lasciati quei luoghi e i tristi pensieri, illudendoci che ormai il peggio fosse passato, fu presa la rotta per la destinazione finale. Ma il peggio non era proprio passato, anzi, doveva ancora venire: appena varcata la conca di Botri, si erse contro di noi un muro di canne intricate, con cespugli ad altezza d’uomo, tanto che i compagni si persero subito di vista. Io, infatti, mi ritrovai all’improvviso da solo in questa specie di giungla nostrana, a mio parere non meno maligna di quella vera, anche se non c’ero mai stato. Mi aprivo la strada allargando la sterpaglia con mani e braccia, quasi un nuotare in un elemento improprio; la sensazione non era brutta, sul principio, quasi uno scivolare dolce in un’altra dimensione. Ma presto le illusioni svanirono e la fatica la vinse su tutto. I pensieri allora cominciarono ad andarsene in giro, in maniera indipendente, quasi onirica: evocarono l’Anabasi di Senofonte e agognai quando anch’io avrei potuto esclamare “thalatta, thalatta” (Il mare! il mare!) ,anche se il mare era lontano parecchi chilometri..e poi la casa, il calore, il comodo divano, lontane e irreali..e capii quali erano le cose che importavano davvero…Caddi, mi rialzai, poi ricaddi..Quando alla fine quasi senza fiato scorsi uno squarcio d’azzurro, con l’ultimo residuo di energia uscii sotto il libero cielo..i campanili di Montefegatesi, come giganti misericordiosi, accolsero un pellegrino che non stava più in piedi ma era diventato molto, molto più saggio.