Ricordi sonori alla rinfusa

Ricordi sonori alla rinfusa – di Stefania Bonanni

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Ricordi alla rinfusa che si intrecciano e rincorrono, popolando ore lunghe e silenziose.

Tornano in mente persone e cose, dimensioni diverse.

Cose colorate, ricordi di vestiti allora alla moda. Fatti di stoffe lisce e scivolose, o di lane ricamate con fiori gonfi al tatto. A occhi chiusi si indovinavano i fiorellini su quelle che sarebbero diventate vestine di cotone abbottonate davanti, o i fiori damascati su tailleur da festa grossa. Ricordi tappezzati di colori, trama di stoffe, ma anche di rumori.

Di quello prodotto da quelle forbicione che la Maria impugnava infilando il pollice nell’occhiello di sinistra, e poi stringendo con il palmo intero della mano, quando affondavano nella stoffa inseguendo le tracce morbide ed un po’ sfumate del gesso bianco. Facevano un suono secco e poi scivolato, ogni tanto il metallo delle forbici inciampava sul tavolo, come a dare il tempo, per il resto era un rumore frusciante, scivolante, scivoloso, sciacquato. La sarta come lo scultore, a dar vita a quello che prima di lei non esisteva, tirando fuori abiti su misura da materia piana e senza dimensione.

Poi, lunghe gugliate approssimavano quello che sarebbe diventato vestito perfetto e le punte d’argento di migliaia di spilli stringevano, per dare l’idea, senza presunzione definitiva. La Maria teneva gli spilli dentro una scatolina grigia di metallo e quando cascavano si spargevano brillando sul pavimento di mattoni rossi, con un bisbiglio vivace, simile al ghiaccio che si spacca, un crepitio allegro e punteggiato, croccante. Quando li appuntava addosso, durante le prove, li teneva tra le labbra, gli spilli. Per questo non mi hanno mai molto stupito fachiri e mangiafuoco. La Maria si, era stupefacente. Mi sono chiesta spesso cosa sarebbe successo se le fosse venuto un colpo di tosse. Ma non è mai accaduto. Non durante le prove alle quali ho assistito io.

Prove segrete, super segrete. Solo la sarta conosceva le misure di signore che neanche dal dottore restavano in sottoveste.

Poi, il vestito arrivava a casa. Un pacco ricoperto di carta velina bianca, fermata anche quella da spilli, ma non stretto, tutto rimaneva gonfio, con la carta fine che lasciava entrare aria e che dava l’idea che dovesse essere delicato e leggero anche il gesto di chi apriva il pacco.

La carta parlava, scricchiolava, emetteva dei piccolissimi gemiti striduli ma gioiosi. Apriva la strada allo stupore della scoperta del vestito nuovo. Profumava anche, quella carta velina. Forse era il borotalco che stava nella scatolina degli spilli, perché non arruginissero.

Forse l’attesa, lo stupore, la gioia, profumavano. E suonavano a festa.

 

Voce

E sento anche...il suono di una voce nel cuore

Da: Sotto il sole giaguaro di Italo Calvino

 “Quella voce viene certamente da una persona, unica, irripetibile come ogni persona, però una voce non è una persona, è qualcosa di sospeso nell’aria, staccato dalla solidità delle cose. Anche la voce è unica e irripetibile, ma forse in un altro modo da quello della persona: potrebbero, voce e persona, non assomigliarsi. Oppure assomigliarsi in un modo segreto, che non si vede a prima vista: la voce potrebbe essere l’equivalente di quanto la persona ha di più nascosto e di più vero. E’ un te stesso senza corpo che ascolta quella voce senza corpo? Allora che tu la oda veramente o la ricordi o la immagini, non fa differenza.

  Eppure tu vuoi che sia proprio il tuo orecchio a percepire quella voce, dunque quel che t’attira non è più solo un ricordo o una fantasticheria ma la vibrazione d’una gola di carne. Una voce significa questo: c’è una persona viva, gola, torace, sentimenti, che spinge nell’aria questa voce diversa da tutte le altre voci.

Una voce mette in gioco l’ugola, la saliva, l’infanzia, la patina della vita vissuta, le intenzioni della mente, il piacere di dare una propria forma alle onde sonore. Ciò che ti attira è il piacere che questa voce mette nell’esistere: nell’esistere come voce, ma questo piacere ti porta a immaginare il modo in cui la persona potrebbe essere diversa da ogni altra quanto è diversa la voce.”

 

La pasticca

La pasticca – di Laura Galgani

pasticca

La vedeva lì, piccola, insignificante, lattiginosa, quasi si confondeva col colore del tavolo di cucina. Ce l’aveva messa senza nemmeno toccarla, perché non l’amava, no, per niente. Dopo averla lasciata cadere dal blister di plastica aveva subito fatto due passi indietro, senza voltarsi, alzando lo sguardo verso la finestra. Il sole stava sorgendo, e i suoi primi brillanti raggi scavalcavano già il profilo blu delle colline, là in fondo. Il disco dorato del sole però ancora non si vedeva. Stava ferma, senza respirare. Ad un tratto, un raggio di sole colpì la piccola sfera di cristallo appesa con un filo viola in cima alla finestra, e la luce si scompose nei colori caldi dell’arcobaleno, che iniziarono a riflettersi in piccoli segni che fluttuavano ovunque sulle pareti, sul pavimento, sul tavolo, sulla specchiera, ed anche sul suo corpo febbricitante. Allora lei si sentì come sollevata verso il cielo, verso una dimensione di pace e di luce, e si lasciò andare. La pasticca rimase lì, sul tavolo, inutile, fredda. Lei era già volata via.

Il rumore di una matita che scrive

Secondo incontro: 6 novembre 2018: Al buio sento……..

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……Il rumore di una matita che scrive….

…può sembrare il levigare di un legno

Sandra Conticini: Era il tuo amico fedele..lo portavi sempre con te, perchè poteva essere sempre utile, questo è quello che dicevi. Quando ti veniva l’ispirazione lo prendevi  ed iniziavi ad incidere e levigare. La trovasti in Sardegna  quella corteccia di pino dove pensasti di incidere i nostri nomi e, a distanza di anni, è sempre sulla mensola in cucina.Quella volta che eravamo a camminare facesti i bastoni per tutti e tre con le iniziali di lei, ed ogni volta che andavamo nel bosco se lo portava dietro e raccontava a tutti che lo avevi fatto te…e si vedeva che eri contento. Quando trovavi un pezzo di legno che ti ispirava la fantasia, ti mettevi lì, grattavi e ripulivi e poi ricominciavi, grattavi e ripulivi e avanti così finchè non decidevi che il lavoro potevi considerarlo soddisfacente  e lo donavi con il tuo sorriso  soddisfatto.

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…può sembrare lo scartavetrare di una finestra

Patrizia Fusi: Ho visto come l’imbianchino aveva fatto a sistemare le finestre lo scorso settembre. Quest’anno ho deciso di sistemarle io e stamani sono scesa in cantina, ho preso cartavetro un taglierino e la vernice. Ho iniziato il lavoro, ho scartavetrato il bordo basso delle finestre, dopo ho soffiato sul legno per far scivolare via la vecchia vernice.

L’aria tiepida e i raggi del sole entravano nelle stanze rendendole luminose.

Mi guardo intorno: mi sembra che il lavoro sia venuto bene, mi è piaciuto farlo e ho risparmiato dei bei soldi.

 

Rumore di passi

Primo incontro: 30 ottobre 2018. Al buio sento…

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…Rumore di passi….

Carla Faggi : Non è da me ! Io sono una slow. Faccio tutto lentamente, con comodità ed al caldo! Invece eccomi qua, tutta fradicia e con i piedi bagnati!

Eppure sono contenta. Sto cercando di andarci, lo voglio fortissimamente e sono sicura che ce la farò!

C’è il vento ed il terreno è scivoloso, però mi sento piena di energia e voglio arrivarci prima possibile. Cammino speditamente, quasi corro, mi meraviglio della mia audacia.

Finalmente sono arrivata, apro e sorridendo dico: “ Eccomi!”

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Rossella Gallori: Era un silenzio colorato, un modo per vedersi meglio nel buio assoluto…per toccarsi da lontano…passi lenti,  selciati scivolosi, piccoli cavalli, due foglie color bronzo, piccoli sassi, un bimbo, che ride, forse un fiume che scorre veloce. Era un pomeriggio piovoso… l’ultimo pomeriggio di ottobre.

 ed ecco…il mio rumore:

Sembrava un piccolo colpo di tosse, forse un microscopico rospo gentile. Il  vecchio Ronson stentava a funzionare…poi, per magia una scintilla salutava l’alba accendendo la prima sigaretta, mentre noi ci toglievamo il sonno dagli occhi. Gracidava il transistor, mentre le sue mani scure cercavano la stazione giusta…il bicchiere verde sul  lucido comodino di legno con il piano di cristallo, cullava una pastiglia  effervescente che friggendo  esalava un odore di limone vecchio, malsano.

Il piumino rosa antico, di nome di fatto, era scivolato per terra lasciandoci infreddoliti…nella stanza accanto, lei, sola, cuciva…una Singer a pedale scandiva minuti che parevano ore, vecchie forbici tagliavano pesanti feltri bigi…

Forse avrebbe fatto giorno, prima o poi, io speravo di no…respiravo piano, inalando fumo…

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Chiara Bonechi: Rumori al buio: ascolto, immagino, penso.

Ho avvertito quel rumore, quello “sciaguattio” di passi che affondano nell’erba bagnata, è una sensazione disarmante, ormai ci sei dentro, puoi solo andare avanti.

Il più delle volte parcheggio la mia Panda sotto la tettoia in fondo al piazzale dove la terra ha inghiottito tutta la ghiaia di cui anni fa era ricoperto, adesso malva e gramigna danno un po’ di colore allo sterrato. E’ piovuto ma io devo andare, guardo il tratto da attraversare, non sembra bagnato né troppo melmoso. Mi muovo con passi attenti e qualche saltello cercando di mettere i piedi sui ciuffi d’erba che spero mi sostengano e invece affondo, ormai ci sono in quel “ciaf, ciaf”che bagna le scarpe e mi sento morire. Con passi veloci arrivo alla Panda, sono salva.

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Patrizia Casati: Ciaf! Ciaf! La ragazza cammina svelta sul viottolo, le sue ciabatte  sono bagnate; ritorna dalla fonte dove si è lavata i piedi per rinfrescarsi. Sente in lontananza le cicale con il loro ritmo sembrano farle compagnia in questa calda e afosa giornata.

L’aspetta una casa isolata in una radura,intorno campi delimitati da muri a secco, da una parte campi di grano dall’altra vigneti. 

Fa caldo! ci voleva proprio una bella rinfrescata ai piedi!

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Franco Bellio: I PASSI DELLA DELUSIONE

Quel mattino il risveglio al rifugio Contrin era stato per me carico di tensione emotiva. Cercavo una sfida con me stesso : affrontare per la prima volta in una arrampicata solitaria la parete sud della Marmolada, quella via tutta rocciosa di 4° grado di difficoltà (con passaggi di complessità anche superiore) che altre volte avevo superato, ma in compagnia di esperte e fidate guide alpine. Il sentiero di avvicinamento alla parete l’avevo percorso con animo leggero e baldanzoso senza accorgermi che i bagliori dell’alba rivelavano purtroppo condizioni metereologiche non ottimali per l’impresa che mi prefiggevo. Nuvoloni carichi di pioggia si stavano addensando sulle cime accompagnati da lampi fulminei e da tuoni minacciosi e di li a poco uno scroscio improvviso investiva la parete rocciosa rendendola una lastra scivolosa, di un luccichio quasi spettrale. L’arrampicata sarebbe stata non solo imprudente e pericolosa, ma addirittura irresponsabile e scellerata. La caparbietà e l’entusiasmo dovevano tristemente cedere al raziocinio. Non mi restava che ripercorrere il sentiero del ritorno che si stava trasformando in una lunga pozzanghera motosa sulla quale sprofondavo velocemente gli scarponi, grevi e pesanti come il mio morale. Il mio procedere cadenzato in mezzo al fango fotografava esattamente il mio stato d’animo, un incedere impetuoso di rabbia e frustrazione, un sapore di immeritata sconfitta. Quei passi ritmavano esattamente tutta la mia delusione…

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Mirella Calvelli: Il passo di James era un passo deciso, il rumore delle sue scarpe nuove, nere, lucide, allacciate; di una manifattura curata, fatta a mano, quello che all’estero viene definita “italiana”. In fondo lui rappresenta anche questo, come del resto tutta la sua famiglia. Il vialetto che portava alla grende case era compostamente assemblato, con sassolini bianchi, resi ancora più candidi, dalla fitta pioggia mattutina.Aveva ricevuto quella telefonata da sua sorella, una telefonata breve, scandita da un periodo breve:

“E’ morto!”.

Non c’era disperazione nelle sue parole, in fondo se lo aspettavano.E così si prese tutto il suo tempo per vestirsi, sistemarsi, per andare a quell’incontro. Non camminava svelto, la situazione non lo richiedeva. Gli avevano insegnato fin da piccolo a non “essere scalmanato” a dosare i suoi passi e le sue movenze. Si tirava i polsini della camicia bianca, sotto la giacca, muovendone nervosamente il bottone di mezzo, non distogliendo mai lo sguardo dalle sue scarpe, come se le dovesse pilotare verso la meta. E le rimirava, permettendogli di carezzare il suolo, che non essendo liscio, gli faceva muovere i piedi come in una leggera danza. O come, da piccolo, quando quel selciato ghiacciava, si divertiva a scivolarci sopra, come in una pista di pattinaggio.

Ma adesso ci siamo, gli ultimi quattro grandi scalini in pietra serena, da salire. Adesso il contrasto è meno acceso che sui sassolini bianchi. Ma il nero delle sue scarpe è invariato….un’ultima sistemata alla giacca, ai polsini, una raddrizzata alla schiena e varca lo stipite della porta e ora si entra in scena!!

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Sandra Conticini: Passi Come tutte le sere d’estate lei sta tornando a casa e cammina nella pineta, dopo una lunga giornata di lavoro in quella cucina del ristorante, che un giorno era di suo padre. Quella camminata che ormai fa da anni,  la scarica dalle tensioni accumulate. Le sembra che il sentiero sia  silenzioso, ma non è vero, perchè il frinire delle cicale, il canto dei grilli e i suoi passi sulla ghiaia, nella pace della sera, le fanno compagnia,  dandole tranquillità e riuscendo a scacciare i pensieri negativi. Quella sera c’è un rumore in più..la scatolina delle caramelle che ha finito e, per ingannare il tempo, si diverte ad aprirla e chiuderla.

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Luca Di Volo: Una sera di fine estate. Le piogge insistenti degli ultimi giorni hanno intriso di umidità il sentiero, anche se gli ormai timidi raggi del Sole hanno incoraggiato le ultime cicale che si ostinano a non riconoscere l’estate morente.

In mezzo ai filari di vite un uomo cammina, i suoi passi risuonano nitidamente nel sottofondo dei rumori della campagna: ritmici, decisi.

Possiamo immaginare di vederlo dall’alto, di tre quarti, per la precisione; se ne intravede l’abito: pantaloni scuri, scarpe contadine…un maglione a collo alto…..Non se ne vede il volto, ma quel suono così ostinatamente cadenzato suggerisce un disperato bisogno di allontanarsi…non sappiamo da chi o da che cosa: una fuga cosciente, razionale, composta, ma non per questo meno legata a quel sentimento di forzata razionalità… quasi un ripetersi ossessivo della stessa frase: ”no, non è successo nulla..tutto è come prima…” Quest’uomo sa perfettamente che non è così, anzi..niente è più lontano dalla realtà che ha lasciato, ma comunque procede.. Tra poco il suo passo sarà meno ritmico, meno scandito..Si fermerà? Ritornerà indietro ad affrontare i suoi più terrificanti fantasmi?

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Stefania Bonanni: Cammina con attenzione, attraversando la piazza lastricata di pietre bianche, lucide di pioggia. Ha paura di scivolare, di cadere di nuovo. Oggi, poi,l’impiccio è più del solito, tra impermeabile, ombrello, borsa a tracolla, scarpe chiuse ma non proprio tanto adatte, con la suola liscia. E piove, sempre più forte. A catinelle, a scroscio, all’improvviso arrivano anche ventate che scuotono e arrovesciano l’ombrello, proprio nell’attimo nel quale entra in una pozza che non sembrava davvero così profonda….allora si arrende, non serve resistere. Chiude l’inutile ombrello, non si affretta più, cammina piano piano ascoltando il ciaf ciaf dei suoi piedi nelle scarpe piene d’acqua… serenamente.

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Elisabetta Brunelleschi:  È estate, le cicale cantano da mattina a sera. Nella casa del Pozzetto le donne lavorano a finestre spalancate.

Ci sono due telai nel grande salone al primo piano e loro, le donne, con abile sapienza muovono avanti e indietro le braccia … e la tela lentamente si allunga. È di lino, sarà un lenzuolo per il corredo di Ninetta. Tac – tac,  tac – tac, partenza e ritorno, avanti e indietro, il ritmo si espande nel silenzio afoso di quel giorno di luglio.

Tac – tac, toc – toc, suoni lontani e vicini si raggiungono, si sovrappongono. Dalla strada un cadenzare deciso di passi colpisce l’udito di Violina che subito alza gli occhi verso la finestra. Violina ferma le mani e Ninetta la segue. Un giovane uomo cammina, i suoi zoccoli avanzano sul selciato.È Tonino, Violina lo segue con lo sguardo, come un’onda leggera e avvolgente che accompagna. Tonino sente il silenzio del telaio e volge appena la testa. Suoni che tornano e suoni che vanno. Desideri che accarezzano e pensano. Intanto gli zoccoli rallentano, poi riprendono, continuano, si allontanano.

Ninetta per prima ritorna al lavoro. Dopo pochi secondi anche Violina si ritrae dal davanzale e le mani di entrambe ricominciano. Dai telai riparte il tac -tac.

Dice Ninetta: – Dai, potrebbe anche essere, anzi! Hai visto tutti i giorni passa da qui sotto!-

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Simone Bellini:  Ah !….niente di meglio, in questa giornata autunnale, che sedersi sul greto ghiaioso del fiume con una canna in mano, rilassato e concentrato sul l’amo in attesa che affondi.
Solo le cicale accompagnano il quieto fruscio dell’acqua.
Ma un rumore mi distoglie, come di passi sulle foglie secche sulla ghiaia. Mi volto ma non c’è nessuno. Sembra piuttosto che sia un masticare, un rodere ritmico di un animaletto dai lunghi denti. Lo schianto di un ramo conferma la mia tesi: era un castoro.

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Ivana Acciaioli: I passi di un’ora. Ormai da mesi mi alzo e vado a camminare lungo il fiume. Ho deciso: cammino un’ora.
Questo vuol dire che il tempo che passa è lo stesso ma io non arrivo sempre alla solita meta. Ho scoperto che le gambe hanno il loro umore, non si alzano sempre medesime
A volte in un’ora arrivo al ponte Bailey, a volte all’ansa grande del fiume,  a volte alla piccola cascata o all’esteso canneto o al luogo dove cinque gatti aspettano il loro generoso  gattaro. Quell’ora assume ogni volta un diverso significato e si accompagna a sensazioni diverse se è il turno del sole o del vento, se mi sorprende la pioggia, se mi concentro sul rumore dei miei passi o della natura circostante o se primeggia il suono lieve o pesante dei miei pensieri.
Un’ ora comunque mia, il senso del possesso del mio tempo.
Chi posso incontrare a parte me stessa?
Un casuale buongiorno.

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Nadia Peruzzi: Una sera di fine estate, che si è fatta più fresca dopo il temporale. Nella stradina piccole pozzanghere, che il terreno fatica ad assorbire. Il cielo, verso occidente balugina di sereno. Squarci di bel tempo iniziano a rompere il nero che aveva dominato fino a poco tempo prima. In sottofondo tornano a sentirsi le cicale, ammutolite prima, nel rumore dei tuoni . La signora Dina fa capolino dietro ai vetri, scostando la tenda. Ha sentito dei passi in lontananza. Scarpe zuppe d’acqua si fanno avanti a fatica, scansando buche e pozzanghere  e fanno scricchiolare la ghiaia sul viottolo che corre vicino alle case. Non si vede ancora chi è che sta arrivando, ma la Dina lo riconosce anche senza vederlo.

E’ Franco, il suo vicino, che rientra dal lavoro sempre a quell’ora. Preciso come un orologio svizzero. Cick, ciock sempre più vicino. Cick ciock, arrivato !

 Una breve occhiata alla finestra illuminata, un cenno di saluto. Si sente il rumore della chiave che cerca la toppa, il click dell’interruttore che fa luce nel salotto. Non lo vede, la Dina, ma lo immagina, stanco, mentre entra in casa, si toglie l’impermeabile e si siede sulla poltrona.

Finalmente all’asciutto, finalmente a casa ! 

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Anna Meli: Tappi nelle orecchie per non sentire il russare di mio marito. Così sento il battere del mio cuore insieme al defluire del sangue…è una cosa angosciante. Sfilo i tappi quasi subito e mi viene da riflettere sul tempo che passa inesorabile, silenzioso, non veloce ma costante, proprio come il sangue che scorre nelle vene. Vorrei che questo tempo non passasse senza poterlo vivere momento per momento, senza poterlo assaporare. Così anche  il russare di mio marito diventa cosa sopportabile perché fa parte di una realtà di vita.

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Laura Casati: In estate la nostra famiglia si trasferiva in campagna nella casa degli zii. Spesso  per passare il tempo  stavo alla finestra del salotto del primo piano da dove potevo controllare  il viale alberato. Era un via vai continuo di persone che arrivavano alla fattoria. Quel giorno improvvisamente un rumore mi fece sobbalzare. Stavano arrivando i cugini su un calesse trainato da due pony, i cavallini  sfioravano il selciato con passi veloci e leggeri.  Ai lati del viale tigli rigogliosi spargevano nell’aria tiepida il loro aroma, mentre le cicale frinivano allegramente.

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Roberta Morandi: Sto camminando senza meta, o forse il mio è fuggire? Sono per strada, una strada sterrata, quasi un viottolo, pieno di sassi, un acciottolato ai margini di un campo, il grano è  stato tagliato da poco, le cicale ancora friniscono mescolandosi al ciottolio dei piedi sul selciato, è  quasi buio e tra poco smetteranno. Non ci sono persone intorno, né suoni o rumori oltre le cicale e i passi, strano, come se il mondo si fosse allontanato e mi avesse lasciato solo col rumore dei miei piedi, con le cicale e i miei pensieri. Questo suono che fanno i miei passi si accompagna bene ai pensieri  che albergano la mia mente: non li penso, arrivano da soli, uno dopo l’altro come nel cammino, e non sono silenziosi, non so fermarli e neppure incasellarli o dar loro un senso. Pensieri e passi in libertà. 

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Patrizia Fusi: Camminare lungo una strada di campagna in solitudine, in pace con tutto quello che mi circonda, un fruscio, dalla macchia di rovi accanto a me, vola via rumorosamente un maestoso merlo nero dal becco giallo in un battito di ali.

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Laura Galgani: Estate, tutto scorre uniforme e monotono, persino le cicale si annoiano al loro pigro frinire. Qualcosa ritmicamente commenta biascicando lo scorrere del tempo, senza un costrutto, senza un perché. Siamo spettatori di una scena senza racconto, di suoni sgradevoli e meccanici. Ripetitività e noia dominano incontrastate. Uscendo di scena in punta di piedi torno verso la spiaggia e il sole abbagliante.

Passeggiate lente aperte a tutti

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Le passeggiate a passo lento per le vie dell’Antella a cura  di Archetipo-La Matita per scrivere il cielo- Con Roberta Tucci e Cecilia Trinci

 Sabato 10 novembre 2018 A piedi per via di Montisoni …. ritrovo ore 9,30 presso Teatro Comunale di Antella 

Una passeggiata tranquilla di circa un’ora verso il Frantoio “L’uccellare” della famiglia François con visita alla villa e al  Museo delle Carrozze, piccolo gioiello privato.