Primo incontro: 30 ottobre 2018. Al buio sento…

…Rumore di passi….
Carla Faggi : Non è da me ! Io sono una slow. Faccio tutto lentamente, con comodità ed al caldo! Invece eccomi qua, tutta fradicia e con i piedi bagnati!
Eppure sono contenta. Sto cercando di andarci, lo voglio fortissimamente e sono sicura che ce la farò!
C’è il vento ed il terreno è scivoloso, però mi sento piena di energia e voglio arrivarci prima possibile. Cammino speditamente, quasi corro, mi meraviglio della mia audacia.
Finalmente sono arrivata, apro e sorridendo dico: “ Eccomi!”
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Rossella Gallori: Era un silenzio colorato, un modo per vedersi meglio nel buio assoluto…per toccarsi da lontano…passi lenti, selciati scivolosi, piccoli cavalli, due foglie color bronzo, piccoli sassi, un bimbo, che ride, forse un fiume che scorre veloce. Era un pomeriggio piovoso… l’ultimo pomeriggio di ottobre.
ed ecco…il mio rumore:
Sembrava un piccolo colpo di tosse, forse un microscopico rospo gentile. Il vecchio Ronson stentava a funzionare…poi, per magia una scintilla salutava l’alba accendendo la prima sigaretta, mentre noi ci toglievamo il sonno dagli occhi. Gracidava il transistor, mentre le sue mani scure cercavano la stazione giusta…il bicchiere verde sul lucido comodino di legno con il piano di cristallo, cullava una pastiglia effervescente che friggendo esalava un odore di limone vecchio, malsano.
Il piumino rosa antico, di nome di fatto, era scivolato per terra lasciandoci infreddoliti…nella stanza accanto, lei, sola, cuciva…una Singer a pedale scandiva minuti che parevano ore, vecchie forbici tagliavano pesanti feltri bigi…
Forse avrebbe fatto giorno, prima o poi, io speravo di no…respiravo piano, inalando fumo…
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Chiara Bonechi: Rumori al buio: ascolto, immagino, penso.
Ho avvertito quel rumore, quello “sciaguattio” di passi che affondano nell’erba bagnata, è una sensazione disarmante, ormai ci sei dentro, puoi solo andare avanti.
Il più delle volte parcheggio la mia Panda sotto la tettoia in fondo al piazzale dove la terra ha inghiottito tutta la ghiaia di cui anni fa era ricoperto, adesso malva e gramigna danno un po’ di colore allo sterrato. E’ piovuto ma io devo andare, guardo il tratto da attraversare, non sembra bagnato né troppo melmoso. Mi muovo con passi attenti e qualche saltello cercando di mettere i piedi sui ciuffi d’erba che spero mi sostengano e invece affondo, ormai ci sono in quel “ciaf, ciaf”che bagna le scarpe e mi sento morire. Con passi veloci arrivo alla Panda, sono salva.
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Patrizia Casati: Ciaf! Ciaf! La ragazza cammina svelta sul viottolo, le sue ciabatte sono bagnate; ritorna dalla fonte dove si è lavata i piedi per rinfrescarsi. Sente in lontananza le cicale con il loro ritmo sembrano farle compagnia in questa calda e afosa giornata.
L’aspetta una casa isolata in una radura,intorno campi delimitati da muri a secco, da una parte campi di grano dall’altra vigneti.
Fa caldo! ci voleva proprio una bella rinfrescata ai piedi!
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Franco Bellio: I PASSI DELLA DELUSIONE
Quel mattino il risveglio al rifugio Contrin era stato per me carico di tensione emotiva. Cercavo una sfida con me stesso : affrontare per la prima volta in una arrampicata solitaria la parete sud della Marmolada, quella via tutta rocciosa di 4° grado di difficoltà (con passaggi di complessità anche superiore) che altre volte avevo superato, ma in compagnia di esperte e fidate guide alpine. Il sentiero di avvicinamento alla parete l’avevo percorso con animo leggero e baldanzoso senza accorgermi che i bagliori dell’alba rivelavano purtroppo condizioni metereologiche non ottimali per l’impresa che mi prefiggevo. Nuvoloni carichi di pioggia si stavano addensando sulle cime accompagnati da lampi fulminei e da tuoni minacciosi e di li a poco uno scroscio improvviso investiva la parete rocciosa rendendola una lastra scivolosa, di un luccichio quasi spettrale. L’arrampicata sarebbe stata non solo imprudente e pericolosa, ma addirittura irresponsabile e scellerata. La caparbietà e l’entusiasmo dovevano tristemente cedere al raziocinio. Non mi restava che ripercorrere il sentiero del ritorno che si stava trasformando in una lunga pozzanghera motosa sulla quale sprofondavo velocemente gli scarponi, grevi e pesanti come il mio morale. Il mio procedere cadenzato in mezzo al fango fotografava esattamente il mio stato d’animo, un incedere impetuoso di rabbia e frustrazione, un sapore di immeritata sconfitta. Quei passi ritmavano esattamente tutta la mia delusione…
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Mirella Calvelli: Il passo di James era un passo deciso, il rumore delle sue scarpe nuove, nere, lucide, allacciate; di una manifattura curata, fatta a mano, quello che all’estero viene definita “italiana”. In fondo lui rappresenta anche questo, come del resto tutta la sua famiglia. Il vialetto che portava alla grende case era compostamente assemblato, con sassolini bianchi, resi ancora più candidi, dalla fitta pioggia mattutina.Aveva ricevuto quella telefonata da sua sorella, una telefonata breve, scandita da un periodo breve:
“E’ morto!”.
Non c’era disperazione nelle sue parole, in fondo se lo aspettavano.E così si prese tutto il suo tempo per vestirsi, sistemarsi, per andare a quell’incontro. Non camminava svelto, la situazione non lo richiedeva. Gli avevano insegnato fin da piccolo a non “essere scalmanato” a dosare i suoi passi e le sue movenze. Si tirava i polsini della camicia bianca, sotto la giacca, muovendone nervosamente il bottone di mezzo, non distogliendo mai lo sguardo dalle sue scarpe, come se le dovesse pilotare verso la meta. E le rimirava, permettendogli di carezzare il suolo, che non essendo liscio, gli faceva muovere i piedi come in una leggera danza. O come, da piccolo, quando quel selciato ghiacciava, si divertiva a scivolarci sopra, come in una pista di pattinaggio.
Ma adesso ci siamo, gli ultimi quattro grandi scalini in pietra serena, da salire. Adesso il contrasto è meno acceso che sui sassolini bianchi. Ma il nero delle sue scarpe è invariato….un’ultima sistemata alla giacca, ai polsini, una raddrizzata alla schiena e varca lo stipite della porta e ora si entra in scena!!
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Sandra Conticini: Passi Come tutte le sere d’estate lei sta tornando a casa e cammina nella pineta, dopo una lunga giornata di lavoro in quella cucina del ristorante, che un giorno era di suo padre. Quella camminata che ormai fa da anni, la scarica dalle tensioni accumulate. Le sembra che il sentiero sia silenzioso, ma non è vero, perchè il frinire delle cicale, il canto dei grilli e i suoi passi sulla ghiaia, nella pace della sera, le fanno compagnia, dandole tranquillità e riuscendo a scacciare i pensieri negativi. Quella sera c’è un rumore in più..la scatolina delle caramelle che ha finito e, per ingannare il tempo, si diverte ad aprirla e chiuderla.
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Luca Di Volo: Una sera di fine estate. Le piogge insistenti degli ultimi giorni hanno intriso di umidità il sentiero, anche se gli ormai timidi raggi del Sole hanno incoraggiato le ultime cicale che si ostinano a non riconoscere l’estate morente.
In mezzo ai filari di vite un uomo cammina, i suoi passi risuonano nitidamente nel sottofondo dei rumori della campagna: ritmici, decisi.
Possiamo immaginare di vederlo dall’alto, di tre quarti, per la precisione; se ne intravede l’abito: pantaloni scuri, scarpe contadine…un maglione a collo alto…..Non se ne vede il volto, ma quel suono così ostinatamente cadenzato suggerisce un disperato bisogno di allontanarsi…non sappiamo da chi o da che cosa: una fuga cosciente, razionale, composta, ma non per questo meno legata a quel sentimento di forzata razionalità… quasi un ripetersi ossessivo della stessa frase: ”no, non è successo nulla..tutto è come prima…” Quest’uomo sa perfettamente che non è così, anzi..niente è più lontano dalla realtà che ha lasciato, ma comunque procede.. Tra poco il suo passo sarà meno ritmico, meno scandito..Si fermerà? Ritornerà indietro ad affrontare i suoi più terrificanti fantasmi?
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Stefania Bonanni: Cammina con attenzione, attraversando la piazza lastricata di pietre bianche, lucide di pioggia. Ha paura di scivolare, di cadere di nuovo. Oggi, poi,l’impiccio è più del solito, tra impermeabile, ombrello, borsa a tracolla, scarpe chiuse ma non proprio tanto adatte, con la suola liscia. E piove, sempre più forte. A catinelle, a scroscio, all’improvviso arrivano anche ventate che scuotono e arrovesciano l’ombrello, proprio nell’attimo nel quale entra in una pozza che non sembrava davvero così profonda….allora si arrende, non serve resistere. Chiude l’inutile ombrello, non si affretta più, cammina piano piano ascoltando il ciaf ciaf dei suoi piedi nelle scarpe piene d’acqua… serenamente.
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Elisabetta Brunelleschi: È estate, le cicale cantano da mattina a sera. Nella casa del Pozzetto le donne lavorano a finestre spalancate.
Ci sono due telai nel grande salone al primo piano e loro, le donne, con abile sapienza muovono avanti e indietro le braccia … e la tela lentamente si allunga. È di lino, sarà un lenzuolo per il corredo di Ninetta. Tac – tac, tac – tac, partenza e ritorno, avanti e indietro, il ritmo si espande nel silenzio afoso di quel giorno di luglio.
Tac – tac, toc – toc, suoni lontani e vicini si raggiungono, si sovrappongono. Dalla strada un cadenzare deciso di passi colpisce l’udito di Violina che subito alza gli occhi verso la finestra. Violina ferma le mani e Ninetta la segue. Un giovane uomo cammina, i suoi zoccoli avanzano sul selciato.È Tonino, Violina lo segue con lo sguardo, come un’onda leggera e avvolgente che accompagna. Tonino sente il silenzio del telaio e volge appena la testa. Suoni che tornano e suoni che vanno. Desideri che accarezzano e pensano. Intanto gli zoccoli rallentano, poi riprendono, continuano, si allontanano.
Ninetta per prima ritorna al lavoro. Dopo pochi secondi anche Violina si ritrae dal davanzale e le mani di entrambe ricominciano. Dai telai riparte il tac -tac.
Dice Ninetta: – Dai, potrebbe anche essere, anzi! Hai visto tutti i giorni passa da qui sotto!-
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Simone Bellini: Ah !….niente di meglio, in questa giornata autunnale, che sedersi sul greto ghiaioso del fiume con una canna in mano, rilassato e concentrato sul l’amo in attesa che affondi.
Solo le cicale accompagnano il quieto fruscio dell’acqua.
Ma un rumore mi distoglie, come di passi sulle foglie secche sulla ghiaia. Mi volto ma non c’è nessuno. Sembra piuttosto che sia un masticare, un rodere ritmico di un animaletto dai lunghi denti. Lo schianto di un ramo conferma la mia tesi: era un castoro.
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Ivana Acciaioli: I passi di un’ora. Ormai da mesi mi alzo e vado a camminare lungo il fiume. Ho deciso: cammino un’ora.
Questo vuol dire che il tempo che passa è lo stesso ma io non arrivo sempre alla solita meta. Ho scoperto che le gambe hanno il loro umore, non si alzano sempre medesime
A volte in un’ora arrivo al ponte Bailey, a volte all’ansa grande del fiume, a volte alla piccola cascata o all’esteso canneto o al luogo dove cinque gatti aspettano il loro generoso gattaro. Quell’ora assume ogni volta un diverso significato e si accompagna a sensazioni diverse se è il turno del sole o del vento, se mi sorprende la pioggia, se mi concentro sul rumore dei miei passi o della natura circostante o se primeggia il suono lieve o pesante dei miei pensieri.
Un’ ora comunque mia, il senso del possesso del mio tempo.
Chi posso incontrare a parte me stessa?
Un casuale buongiorno.
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Nadia Peruzzi: Una sera di fine estate, che si è fatta più fresca dopo il temporale. Nella stradina piccole pozzanghere, che il terreno fatica ad assorbire. Il cielo, verso occidente balugina di sereno. Squarci di bel tempo iniziano a rompere il nero che aveva dominato fino a poco tempo prima. In sottofondo tornano a sentirsi le cicale, ammutolite prima, nel rumore dei tuoni . La signora Dina fa capolino dietro ai vetri, scostando la tenda. Ha sentito dei passi in lontananza. Scarpe zuppe d’acqua si fanno avanti a fatica, scansando buche e pozzanghere e fanno scricchiolare la ghiaia sul viottolo che corre vicino alle case. Non si vede ancora chi è che sta arrivando, ma la Dina lo riconosce anche senza vederlo.
E’ Franco, il suo vicino, che rientra dal lavoro sempre a quell’ora. Preciso come un orologio svizzero. Cick, ciock sempre più vicino. Cick ciock, arrivato !
Una breve occhiata alla finestra illuminata, un cenno di saluto. Si sente il rumore della chiave che cerca la toppa, il click dell’interruttore che fa luce nel salotto. Non lo vede, la Dina, ma lo immagina, stanco, mentre entra in casa, si toglie l’impermeabile e si siede sulla poltrona.
Finalmente all’asciutto, finalmente a casa !
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Anna Meli: Tappi nelle orecchie per non sentire il russare di mio marito. Così sento il battere del mio cuore insieme al defluire del sangue…è una cosa angosciante. Sfilo i tappi quasi subito e mi viene da riflettere sul tempo che passa inesorabile, silenzioso, non veloce ma costante, proprio come il sangue che scorre nelle vene. Vorrei che questo tempo non passasse senza poterlo vivere momento per momento, senza poterlo assaporare. Così anche il russare di mio marito diventa cosa sopportabile perché fa parte di una realtà di vita.
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Laura Casati: In estate la nostra famiglia si trasferiva in campagna nella casa degli zii. Spesso per passare il tempo stavo alla finestra del salotto del primo piano da dove potevo controllare il viale alberato. Era un via vai continuo di persone che arrivavano alla fattoria. Quel giorno improvvisamente un rumore mi fece sobbalzare. Stavano arrivando i cugini su un calesse trainato da due pony, i cavallini sfioravano il selciato con passi veloci e leggeri. Ai lati del viale tigli rigogliosi spargevano nell’aria tiepida il loro aroma, mentre le cicale frinivano allegramente.
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Roberta Morandi: Sto camminando senza meta, o forse il mio è fuggire? Sono per strada, una strada sterrata, quasi un viottolo, pieno di sassi, un acciottolato ai margini di un campo, il grano è stato tagliato da poco, le cicale ancora friniscono mescolandosi al ciottolio dei piedi sul selciato, è quasi buio e tra poco smetteranno. Non ci sono persone intorno, né suoni o rumori oltre le cicale e i passi, strano, come se il mondo si fosse allontanato e mi avesse lasciato solo col rumore dei miei piedi, con le cicale e i miei pensieri. Questo suono che fanno i miei passi si accompagna bene ai pensieri che albergano la mia mente: non li penso, arrivano da soli, uno dopo l’altro come nel cammino, e non sono silenziosi, non so fermarli e neppure incasellarli o dar loro un senso. Pensieri e passi in libertà.
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Patrizia Fusi: Camminare lungo una strada di campagna in solitudine, in pace con tutto quello che mi circonda, un fruscio, dalla macchia di rovi accanto a me, vola via rumorosamente un maestoso merlo nero dal becco giallo in un battito di ali.
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Laura Galgani: Estate, tutto scorre uniforme e monotono, persino le cicale si annoiano al loro pigro frinire. Qualcosa ritmicamente commenta biascicando lo scorrere del tempo, senza un costrutto, senza un perché. Siamo spettatori di una scena senza racconto, di suoni sgradevoli e meccanici. Ripetitività e noia dominano incontrastate. Uscendo di scena in punta di piedi torno verso la spiaggia e il sole abbagliante.