Magari insieme

Bricolage insieme – di Chiara Bonechi

“Bello il tavolo che hai messo in cucina!”

“Era di mia nonna, lo abbiamo ripulito, scartato e coperto con la cera, è stato un lavoro che abbiamo fatto insieme.”

Insieme, una bella parola…

Se avessi chi mi guida e chi mi aiuta potrei finalmente sistemare le due vecchie sedie che da tempo ho depositato nel sottoscala, senza un minimo di restauro sono inutilizzabili.

Insieme potrei farlo.

Invece eccomi qui, da sola ho difficoltà a partire, a prendere in mano carta vetrata e pennello e riportare a legno grezzo quelle vecchie sedie consumate e in più parti mangiate dai tarli.

Passa il tempo e il momento giusto arriva, l’azione segue il pensiero e con coraggio inizio a scartare. Ed ecco il rumore leggero e continuo della carta vetrata che scorre sul legno, le mie braccia si muovono dall’alto in basso, da destra a sinistra, guidano la carta vetrata liberando il legno da quella consumata patina scura. Il mio lavoro produce l’effetto desiderato, che fatica però!

Avverto le mie braccia dolenti, il rumore della carta sul legno si fa discontinuo, sento che non ce la faccio a continuare da sola.

Magari insieme.

Fruscìo di passi

Il fruscìo dei miei passi veloci – di Carla Faggi

Cammino nel bosco, sento il fruscio dei miei soli passi veloci.

Le foglie rimaste ancora sui rami degli alberi mi cercano come volessero accarezzarmi, le scanso e cammino ancora più veloce.

Cerco di raggiungerti, i tuoi passi rallentano, stanno aspettando i miei.

Mi aggrappo alla tua mano.

Il fruscio delle foglie sotto i nostri passi ora è diverso.

È più pieno, più denso. Mi piace.

Mi piace molto di più del fruscio dei miei soli passi veloci.

Angolo della letteratura

Il gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1958)

Maggio 1860

“Nunc et in hora mortis nostrae. Amen”

La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Dolorosi; durante mezz’ora altre voci, frammiste avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d’oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e mentre durava quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre. Adesso taciutasi la voce, tutto rientrava nell’ordine, nel disordine consueto. 

Esplosione

Esplosione – di Luca Di Volo

Eravamo in due, chini su pagine che neanche vedevamo più…Forse ci distraeva la finestra aperta sullo spettacolo di una primavera verde e oro con delicati tocchi di rosso e viola, fatto sta che eravamo delusi, depressi e sfiduciati; si tornava a rileggere quel che era scritto davanti a noi, ma…niente. E poi un pensiero ci rimbombava in testa: mamma mia, se ci si fermava lì, alle prime pagine, potevamo anche chiudere subito il cammino scelto; che so, cambiare facoltà. ..o andare a lavorare, magari al Catasto che, chissà perché, era l’ombra di Banquo che perseguitava quasi tutti gli studenti in quell’epoca. Io ricordo solo il mio babbo: ”guarda che se un tu studi, tuvvai allavorare aiccatasto…!”.  Neppure sapevamo cosa si faceva in quel maledetto “Catasto” ma la fantasia ce lo faceva immaginare pieno di diavoli zannuti…insomma, in quel momento l’autostima era a zero, anzi, sotto zero.

Ma si vede che c’è una Provvidenza anche per i miseri studenti, chissà…forse il refolo di uno zefiro d’Aprile ci portò il dono di una Musa pietosa..forse…Fatto sta che a un certo punto quel bailamme di segni e scritte senza senso miracolosamente si mise in fila e ci comunicò cosa davvero voleva dire…grandioso. L’esplosione fu forte, ci guardammo e l’esplosione si ripetè: orgoglio, piacere, un allargamento del nostro io…e fu tutt’uno con l’esplosione della primavera che fino a quel momento ci era sembrata solo matrigna.

Picchiettare

PICCHIETTARE – di Franco Bellio

Mi ha sempre affascinato accompagnare mio padre quando faceva compere ed approvvigionamenti per l’osteria. Lo osservavo estasiato testare la qualità di una partita di vino da acquistare, prima assaggiandolo  con gesti  ed espressioni facciali che molto più tardi avrei visto ripetuti da pomposi sommeliers, poi armeggiando con sapienza ed esperienza complicati arnesi del mestiere come provette, versatori cromati, termometri e alcool tester. Ma quello che più mi incantava era quando nei caseifici sceglieva con accuratezza certosina una forma di parmigiano. Estraeva con religiosa precauzione da un astuccio (quasi una teca) un argenteo martelletto e iniziava sapientemente a picchiettare la forma, tendendo l’orecchio per percepire il rimbombo nei minimi particolari. L’espressione del suo viso non era mai uguale, quasi stesse riflettendo come in uno schermo la vita del prodotto che stava analizzando : sembrava intravvedere quanto i pascoli fossero verdi, quanto chiare e fresche le acque del ruscello che li attraversava, quanto sazie e tranquille fossero le mucche, quanto il pastore fosse stato paziente e scrupoloso nella mungitura, quanto i mastri casari avessero svolto con passione il loro lento, metodico lavoro. Quel picchiettare rilasciava un suono  che riecheggiava a meraviglia un intero mondo

Argento

Argento – di Rossella Gallori

…era argento, la luce che filtrava sfacciata ed ondeggiante, tra i fili della frangia di tripolino azzurra, della lampada pesantemente Liberty.

Era argenteo, il nastro glacée tra i capelli stopposi della bambola di bisquit, impalata sul divanetto di velluto mauve unto dal tempo, un color malva indefinito e spento.

I vassoi d’argento riflettevano sontuose teiere grasse e lisce dipinte a mano.

Zuccheriere Sheffield  sembravano scoppiare da un momento all’ altro…successe e fu solo e semplicemente polvere bianca, dolce e morbida che cadde a terra senza far rumore…scricchiolava, invece, sotto le babbucce di raso rosa, lise in punta del piccolo fantasma trasparente che volteggiava facendo ondeggiare i riccioli color rame, sorrideva, riconoscendo l’immenso salone, prato dei suoi giochi, di cucciola  diafana…si fermò solo per un attimo ad asciugare le lacrime, che inarrestabili scendevano sul volto ancor giovane di sua madre, che piegata sul tappeto, di fronte ad un camino spento, la piangeva morta, accarezzando il nulla.

Un piccolo campanello di alpacca…annunciò l’ora del thè….

Gemito

Il mal di testa – di Sandra Conticini

Ero piccola…ricordo i gemiti della mamma quando, ogni tanto, le veniva un forte mal di testa.. Mi impaurivo, pensavo che fosse una cosa grave. Io non chiedevo niente, ma nessuno mi tranquillizzava o mi spiegava che come era venuto presto sarebbe passato. Me ne andavo nel mio lettino, senza il suo bacio della buonanotte, mi coprivo fino sopra la testa, mi tappavo le orecchie e pregavo fino a quando non riuscivo ad addormentarmi. La mattina, appena sveglia, facevo capolino alla porta della sua camera per vedere come stava. Che sollievo provavo se il letto era vuoto e lei era in cucina a preparare la colazione per tutti.

Lo scricchiolio della penna

L’indovinello del Monaco – di Luca Di Volo

scrittura

 

Nel vasto scriptorium dell’Abbazia un novizio solleva lo sguardo dalla sua fatica, stanco dell’oro e del lapislazzulo che luccicano sulla miniatura su cui lavora. Quello che scorge è una sequenza, quasi spettrale alla luce del giorno morente, di teste tonsurate chine sui tavoli e forse rapite in qualche cielo sonnolento. Osserva il suo lavoro, soddisfatto per la perfezione, la cura e la precisione del tratto, forse domani l’Abate lo loderà…chissà, lo riempirebbe d’orgoglio..

Ma, come un lampo irruento, una domanda-sottile-gli lampeggia nella coscienza. A lui appare così, guardando ancora una volta la sua preziosa icona: ”Questo è l’ordine, la sublime composizione, l’ordine delle sfere celesti…..ma, il suo contrario, il disordine…come sarà? In quel dominio oscuro, forse si potrà essere più liberi, più…sinceri, in una parola, più “umani”?

Quasi ipnotizzato da questo pensiero, e sotto il suo impulso irrazionale, afferra uno dei preziosissimi (e carissimi) fogli di pergamena (fiducioso che domani il cellario sarebbe stato un po’ disattento, viste le sue abitudini alcooliche). Di getto comincia a ferire il foglio candido con il calamo scrivendo cose svariate, a caso, senza ordine, affascinato dal disarmonico rumore della penna che graffia senza pietà la candida pergamena. Scrive con fretta irresistibile, quasi stregato da quel tangibile scricchiolio liberatorio. Tra le varie stupidaggini vergate inserisce un indovinello che allora andava di moda tra i frati colti…

Un attimo di ritmo selvaggio di una musica sconclusionata e selvaggia ma anche finalmente gioiosa e liberatoria .

Tutto s’interrompe col suono del Vespro, l’incantesimo svanisce, con un sospiro tira un gran rigo sotto la strana composizione, terminando così il suo, forse eretico, viaggio in un mondo, per una volta molto umano.

NB: l’indovinello vergato da questo strano novizio, per uno degli incredibili scherzi della Storia, è giunto fino a noi, ed è una preziosa testimonianza di un periodo sconosciuto della transizione tra latino e volgare Italiano, si chiama “L’indovinello di Verona” ed è databile a circa la metà dell’VIII secolo D.C

Un rumore di……

…… Mani che lavorano – di Elisabetta Brunelleschi

mani

Ascolta: si sente uno strisciare uniforme,

Una lama avanza su un legno incrostato di bianco,

non stride, la mano la guida sapiente,

e accelera, va avanti, pulisce, veloce, veloce …

La polvere cade in silenzio nel basso.

Ecco, il legno riluce,

la mano ora si muove sempre più lenta

e infine, leggera, ripone gli attrezzi,

distende le dita, si piega e trova il riposo.

 

 

Ansimare in un fruscìo

Ansimare – di Anna Meli

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E’ sera, sto camminando in un viale mentre calpesto le foglie cadute.

Insieme al fruscio sento un eco di passi, poi mi sembra anche un respiro

affaticato. Ma è vero quello che sento? Forse è l’eco del mio respiro che dà

forma alle mie paure. Mi fermo? No, devo continuare, andare avanti senza

pensare, senza ascoltare, ricordando solo giorni migliori vissuti lì, in quel tratto

di cammino. Questo mi da coraggio; vedo in lontananza una luce: è casa mia.

Potrebbe essere….il rumore di matite che disegnano….

Disegnare insieme – di Anna Meli

scrittura

– Nonna facciamo un disegno?

– Sì piccolo mio, ma io non sono brava a disegnare, lo sai!

– Non importa facciamo un po’ io un po’ tu.

E così, con poche matite e qualche vecchio pennarello un po’ finito incominciamo.

Viene fuori non si sa bene cosa…una casa? Un albero con lunghi rami stecchiti, una strada, un giardino, fiori, farfalle, punti, segni, ghirigori. Matite e pennarelli grattano la carta lasciando le loro impronte: sono segni strani, insoliti ma i colori hanno il sopravvento ed è bello continuare.

La nonna ha un tratto leggero e interviene solo in minima parte per lasciare più spazio all’esprimersi del bambino.

Il grattare delle matite stabilisce fra i due una forma di intesa, di piacevole collaborazione che diviene armonia a cui segue un gradevole sospiro.

A piedi in autunno con le Matite

Passeggiare nella bellezza – di Nadia Peruzzi

 

Mi ha salvata il telefono. Anche i social hanno un loro perché. Il gruppo WA delle “Matite” ha suonato la sveglia e mi ha richiamato all’ordine. Aprendo il telefono è arrivato un messaggio della sera precedente: ”non ce la faccio a venire” c’era scritto.

Ecco lì, bella manata sulla fronte, condita da un mannaggia me lo ero dimenticata, già oggi è sabato!! Ingrano a fatica la mattina. Ho bisogno di far le cose con calma e per questo mi alzo, anche adesso che potrei fare altrimenti, molto presto. Mi ero vista a bighellonare per diverso tempo, accarezzando una vaga idea di fare un salto in centro, in tarda mattinata.

Invece, via! Preparazione rapida e fuori.

Luogo dell’appuntamento con le “Matite” raggiunto in tempo, poca attesa e al passo verso la meta della nostra prima escursione.

Con cento metri appena, la campagna si offre in tutto il suo splendore autunnale. Ancora non sono i colori carichi di rosso e di marrone, ma son già loro i colori caldi della stagione più colorata dell’anno! Giornata di sole, fortunatamente, solo qualche nuvola a punteggiare il cielo in lontananza.

Il caldo un po’ innaturale per il periodo si fa sentire quasi subito. In molte ci togliamo sciarpe e giacche. Compagnia più che piacevole, chiacchiere e un’ottima guida, la nostra Roberta che di Bagno a Ripoli e di Antella conosce di tutto e di più e lo sa trasmettere con passione e vivacità.

Il viale per arrivare alla villa è bellissimo. Con altri alberi, pur se molto meno cupi, mi ha fatto venire in mente, anche se in piccolo, il viale che porta a  Bolgheri. La salita quasi non si sente distratti dai compagni di avventura e dalle bellezze che ci circondano. Piccoli putti segnano  punti di sosta nei vari livelli.

Ci accolgono i proprietari e ci guidano verso la villa e il gioiellino che conserva: il Museo delle Carrozze. Ce ne sono di molto belle. A pensarci sono quelle che ci hanno fatto sognare nei film o nei libri che abbiamo letto. Le prime comodità per i viaggi, con i cavalli a segnare l’andatura. Al massimo il galoppo, per il resto in quei tempi lì era la lentezza a dominare. Il viaggio allora era molto molto più che arrivare rapidamente da un punto all’altro senza vedere niente in mezzo. C’era il “durante”, c’era l’avventura e c’erano pure i pericoli, talora. Il tempo del Gran Tour, e del Gran Tour in Italia nel quale si sono formati tantissimi grandi artisti europei. Abbiamo respirato un po’ anche di questa aria, stamattina.

Dal berceau una vista su Firenze, in lontananza, nitida nello splendore della giornata. Campanile di Giotto e Duomo svettano e dominano su tutto il resto e ci danno forse più che standoci sotto il senso della misura del loro messaggio. Chi li ha costruiti pensava in grande, dovevano essere smisurati in dimensioni rispetto alla Firenze di allora se lo sono ancora oggi che son circondati da palazzi di una certa imponenza. Si intendeva lanciare un messaggio al mondo conosciuto e a quello allora ancora sconosciuto e lo si lanciava in nome di una bellezza straordinaria. Che lezione per l’oggi chiuso dentro confini angusti dentro i quali pian piano il pensiero si è ristretto, e spesso siamo circondati da cose ordinarie e talora decisamente volgenti al brutto.

Mi sono rinfrancata. Mi sono sentita serena e soddisfatta, contenta di aver aperto il telefono al momento giusto.

La via del ritorno più agevole e ricca di scambi fitti sulle nostre impressioni e già orientati a costruire nuove avventure. Star bene in buona compagnia, alla ricerca del bello appaga, arricchisce e cura.

Alcuni particolari:

 

 

 

 

Potrebbe essere lo strisciare di….

Il rumore della matita che scrive sembra….

……………………il rumore di una miniera – di Nadia Peruzzi

miniera

 

Il cunicolo è stretto e buio. Corpi anneriti dalla polvere di carbone, in fila indiana  si muovono trascinando cesti ogni volta più pieni. Quasi non respirano e non vedono dove vanno. Lo sguardo è fisso sul compagno che precede. Non vedono altro che quello. Sembra un girone infernale, ma è solo una miniera maleodorante, oppressiva, soffocante. E’ un lavoro duro e difficile che sfianca e disumanizza. Non solo uomini, ma donne e bambini in quella cavità a centinaia di metri sotto terra, per lunghe lunghe ore.

Passi sempre piu’ strascicati, braccia segnate dalle corde che tirano il grosso cesto, intirizzite e doloranti.

La fila finalmente si sta fermando. Cominciano a scaricare. I primi si accalcano davanti al montacarichi che li porta a riveder le stelle. Il suono dello scorrere degli ingranaggi che portano in superficie è una via di mezzo fra un fruscio, un sibilo e un fischio. A quell’ora e con tutta quella stanchezza addosso, per le loro orecchie, ha la forza di una melodia.

Ansimare come…..

Ansimare in montagna – di Nadia Peruzzi

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Il bosco era folto e non se ne vedeva la fine. In alcuni punti il sentiero era troppo scosceso, quasi al limite dell’impraticabile. Eppure stavamo camminando da ore. Eravamo partiti di notte, il percorso era accidentato, sapevamo che non era facile raggiungere la radura che era la nostra meta.

Il passo era pesante, il fiato sempre più corto. Il respiro, oltre i 1800 metri, si fa sempre più affannoso. Qualcuno ansimava proprio. Non doveva esser troppo abituato a camminare in montagna.

Finalmente l’ultima linea degli alberi è sorpassata. Si comincia a scorgere la radura. Al buio fitto si è sostituita pian piano la luce lattiginosa di un’alba senza sole.

Adesso ci vediamo tutti. Schierati a cerchio, in un silenzio di attesa, attorno alla radura .La fatica è ricompensata: le marmotte cominciano ad uscire dai loro rifugi interrati.

Con le  zampette sembrano lanciare saluti verso le macchine fotografiche che scattano a più non posso.

Si vuol cogliere l’attimo, prima che fugga !

Matita che striscia

Ritratto – di Vanna Bigazzi

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Disegno, non dal vero,

tuttavia è un ritratto,

personaggio immaginario:

un giovane uomo, forse un ragazzo.

Capelli scomposti, al vento,

un taglio ottocentesco.

La mia creatura non è dei nostri giorni.

Penso a Byron nel suo soggiorno italiano.

Mi immergono in un clima Romantico.

Tratteggio l’espressione dei suoi occhi,

guardano lontano.

È assorto nei suoi versi,

l’anima esce dalla carta,

si astrae, diventa poesia.

Mi riconosco in lui,

forse sto disegnando me stessa:

non il mio pensiero

ma il vagare della mente

che vuole dar vita

a forme inespresse di me.

La scatola di latta che tintinna

La scatola – di Rossella Gallori

gioie

La scatola di latta, aveva visto giorni migliori, si chiudeva male, era sbiadita ed indubbiamente pesante…la appoggiai sul letto, dovevo e volevo farlo oggi…senza un perché avevo deciso di recuperare quel vecchio orecchino, il mio cuore aveva bisogno di lui, era un piccolo tassello di puzzle mai finito. Fu un impresa cercarlo, pezzetti di anni malconci, clips rotte, microscopiche chiusure, morsi di collane.

Questo si, questo no, forse…ah eccolo! Mi accorgo all’ improvviso di non ricordarne il colore : verde Verona, grigio temporale…oro…argento…

Stavo cercando, in quel vecchio contenitore Mellin, un pezzetto di vita non mia, una vita che mi era passata accanto senza mai toccarmi, una linea parallela e protettiva che raramente mi aveva accarezzata, che spesso, senza accorgersene mi aveva ferita, tagli ricuciti con maldestri aghi da tappezziere, lunette arrugginite, spago grosso…

Non cerano solo i suoi orecchini nel mio portagioie da strapazzo, ce ne erano di altre mamme, nonne, di altri giorni, di donne piccole gentili, di formose signore in sottabito di pizzo nero, di bimbe grandi vanitose  di nascita…cartoncini ingialliti con prezzi illeggibili.

Mi sorrise, improvvisamente, tra gli altri  il mio non prezioso gioiello, lo presi con cura, stentavo a riconoscerlo…era rotto sciupato…e non era nemmeno come lo ricordavo…

L’ora blu

La “Bic art” – di Ivana Acciaioli

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Milano mi accoglie elegante come sempre.
Nella raffinata galleria scopro “L’ora blu” e ritorno pure bambina.
Mi immergo nelle opere create con una semplice, comune, povera penna bic.
Scopro la bic art di fatto inesistente.
Rifletto che la penna biro ha fatto storia certamente nella vita della mia generazione.
Ha segnato il passaggio liberatorio dalle dita perennemente macchiate d’inchiostro e dalle gocce blu sulle pagine che dovevano essere di bella scrittura.
Ero in seconda elementare, e di quell’anno ricordo soprattutto l’addio alla stilografica, che comunque era stata amata dopo penna e calamaio, ma che era uggiosamente da riempire, succhiando dalla boccetta di inchiostro, che se ti andava male rovesciavi anche un po’.
Non mi ero mai soffermata a lungo sul ruolo di quell’inchiostro bic  blu e sui suoi riflessi porpora, rossi e neri. Una penna comune ed io con i miei piccoli pensieri e felicità di  scolara bambina rispetto a colui che della prima penna a sfera ha saputo fare il suo strumento d’arte creando nuova bellezza.

Anversa, 2 aprile 1988

“Voglio che i miei spettatori siano in grado di abbandonarsi all’esperienza fisica dell’annegamento nel mare apparentemente calmo dei miei disegni con la bic blu”. J. F.

Ansimare

… E ANSIMANDO …- di Laura Galgani

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C’è una siepe fitta fitta e ci infili il muso, per capire chi è che ansima come te. Il buio si fa ancora più fitto in mezzo ai pruni, alle foglie e alle piccole bacche rosse della siepe. L’odore che percepisci non mente: al di là di quella siepe c’è una femmina, c’è desiderio, c’è istinto dirompente.

Torni indietro di qualche passo, vuoi essere libero di muoverti. Devi trovare un varco, oppure aggirare la siepe e individuare un passaggio là dove questa finisce. Perché finirà, prima o poi!

Ti giri a sinistra e corri lungo la siepe. Al di là di questa anche la femmina ansima e si muove, in parallelo con te. I respiri prendono lo stesso ritmo, simmetrici come i passi che ormai si fanno corsa. Improvvisamente la siepe gira a destra, ad angolo retto, costringendoti ad una brusca virata. Anche lei, di là, gira quasi su se stessa e prosegue la corsa. La siepe finisce, si alza un cancello di metallo. Il desiderio di incontrarsi cresce, ansimate sempre più veloci, e la voce esce fuori in un lamento sofferto. Il cancello vi separa, ma non del tutto. Almeno il muso passa, fra una sbarra e l’altra, e vi potete scambiare un tenero bacio.