Genova per noi – di Nadia Peruzzi

Genova per noi, uno spicchio di luna adagiato sul mare.
Genova per noi, la fine di un viaggio che, quando ero bambina, durava un’intera giornata. L’autostrada finiva alle Bocche di Magra e allora su, curva dopo curva, costretti ad inerpicarci fino al Passo del Bracco. Curve a esse, strette e insidiose che non ci abbandonavano nemmeno nella discesa verso Sestri Levante. Con un camion davanti, il viaggio diventava una vera Odissea!
Genova la assaporavi prima di arrivarci, passando lungo il mare. Finalmente, lassù, te la ritrovavi davanti, attorno, sopra, sotto, dietro. Ovunque, stretta fra monti dai pendii scoscesi e il mare azzurro. Una visione.
Genova per me, le vacanze lunghe passate a casa dei parenti, cibi e profumi diversi da quelli che abitualmente la nonna cucinava a casa, a Firenze a segnare quella linea fra unità e diversità che attraversa questo paese bello, ricco e un po’ dannato!
Genova del porto, dei vicoli ,delle puttane cantate da De André, che potevi vedere lungo via Pré. Genova dei cantautori, in una stagione dalle parole bellissime che tendevano alla poesia.
Genova dalle belle colline e dai bei palazzi abitati dai benestanti di allora. I nomi, noti, li leggevo sui campanelli quando andavamo a far visita alla zia Rosetta. Faceva la portinaia nel palazzo dove abitava la famiglia Dufour, quelli delle caramelle Rossana. Appena leggevi la targhetta dorata al portone, ti sembrava di sentire lo sfrigolio di quella bella carta lucida e rossa, mista al profumo di caramella e pensavi a quel suo cuore molle un po’ liquoroso. L’acquolina in bocca era assicurata.
Genova e la sua Lanterna, i suoi abitanti e i suoi lavoratori. Gente tosta, di poche parole ma di grande animo e di capacità di lotta. Genova della Resistenza, quella in cui ebbe inizio l’insurrezione del 25 aprile e la battaglia finale contro l’oppressione nazifascista.
Genova dei ragazzi con le magliette a righe del luglio del 1960 che tennero sotto scacco per giorni le forze di polizia. Non solo contro la possibilità di far tenere il congresso del Movimento sociale, ma per rompere il clima che si era creato e il tentativo di far rientrare in gioco, a sostegno del governo, il partito neofascista.
Genova della difesa della democrazia nel buio degli anni di piombo, quando con l’assassinio di Guido Rossa fu chiaro a tutti che chi sparava non erano “compagni che sbagliavano”, ma erano assassini che andavano fermati e messi in condizione di non nuocere. Genova composta, in un giorno cupo di pioggia e di lacrime, con la forza della ragione fu un punto di svolta .Non passeranno, gridò muta allora . E non sono passati.
Genova del boom economico tradotto in edilizia sconsiderata. Case lavatrici, colline sventrate, occupazione esagerata del pochissimo suolo disponibile, gli alvei di fiumi, inesistenti per lo più, coperti per farci strade e giardini. Strisce di asfalto sotto e sopra le case e la città, l’intreccio delle autostrade a contorno che la segnano, la oltraggiano osando violare in molti punti l’intimità stessa delle abitazioni. Quasi ci si può vedere dentro: scorci di salotti, di camere da letto, di soffitti mentre corri verso Milano o Torino, o più in là verso la Francia.
E quel ponte a segnare una intera epoca e un modello!
Nato di corsa e per correre. Il mito della velocità ,dell’auto che la fa da padrona aveva bisogno dei suoi totem.
Fantastico, ardito, avveniristico. Quelle alte zampe di fenicottero a restituirci visivamente l’idea dell’assalto al cielo e a lanciare una scommessa anche rispetto alla forza di gravità. Di per sé, immagine di un salto spiccato verso il futuro. La Domenica del Corriere la celebrò con una foto a tutta pagina nel giorno della inaugurazione.
Levante e Ponente finalmente più vicine, la via verso la Francia più agevole e rapida.
Oppure no. Una storia che aveva già in sé elementi di estrema fragilità rimasti nascosti ai più.
In una mattina agostana di anticipo di festa, il sogno si è sbriciolato, accartocciandosi su sé stesso, portandosi via le vite di 43 persone.
Di colpo un giorno anticipatore di festa e di ferie, si è tradotto in ansia e tragedia, in orrore e incredulità.
Restano quelle zampe di fenicottero, messe a nudo dal crollo, a restituirci adesso una immagine diversa da quella del mito. Non di forza, ma di fragilità estrema: troppo alte e troppo sottili e forse troppo distanti in quel punto maledetto, come sostegno di un traffico smisurato, rispetto a quello che lo inaugurò alla fine degli anni sessanta!
Genova colpita, atterrita, dolente e affranta, arrabbiata, ma non doma.
Non a caso Superba. Consapevole della forza che riesce a tirar fuori nei momenti che contano.
Genova che non si arrende, che si riorganizza per non perdere in lavoro e struttura produttiva e in comunità sociale sia nelle zone vicine al disastro sia nel corpo grande di una città che spazia fra est e ovest come nessuna .
Genova per noi, adesso, anche un grido: “mai più” perché si faccia rapidamente luce e si imponga verità mentre si ricostruisce velocemente, ma con attenzione e bene.
Genova, come il paese! Belli e dannati allo stesso tempo. Bisognosi di cura e protezione, come un malato che fatica a riprendersi, dopo un’operazione chirurgica.
Genova ferita, Genova paradigma di un modello di sviluppo, a guardarlo con gli occhi dell’oggi, affaticato che restituisce insicurezza e timore a causa delle sue concentrazioni e dei suoi eccessi.
Genova per noi può e deve essere, nel suo dramma, anche l’occasione e il segno di una svolta! E che sia, finalmente.
Oppure la polvere si depositerà ancora e ancora e dopo la polvere, tutto ricomincerà esattamente come prima.