Neve bianca

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Tanti vasetti pieni di cotone bianco, in ogni vasetto, fra le pieghe del cotone appare una parola e io ne scelgo una che mi porta a pensare al “bianco”: innamoramento.

Neve bianca – di Chiara Bonechi

In questa settimana ho letto le emozioni e le storie del periodo bianco e fin dalle prime immagini bianche sul blog è scoccata la scintilla per questo colore bellissimo che invita alla distensione, al riposo, al silenzio, al piacere di accorgerti di ogni piccolo elemento della natura immerso nel candore e me ne sono innamorata, avevo davvero bisogno del bianco.

E’ un bisogno che ricordo di aver provato fin da piccola.

Quanto attendevo l’inverno perché desideravo la neve!

Il paesaggio innevato che abbagliava di bianco lo vivevo come una magia, tutto si fermava ed erano possibili esperienze impensate. Correvo a cambiare abbigliamento, scarponcelli, guanti, giacca a vento, cappello e via per le strade sperando che la neve attaccasse velocemente, rallentasse il via vai delle auto e nascondesse  voci e  rumori. Era a questo punto che da sola o in compagnia correvo in mezzo alla strada senza preoccupazioni, gustando solo la fatica dei miei passi che affondavano  in quella soffice e per me rara moltitudine di cristalli di ghiaccio.

…Poi è arrivata la grande nevicata dell’85, neve neve neve e il bianco ricoprì ogni altro colore meno che il rosa del volto della mia bambina che proprio in quei giorni di bianco venne alla luce.

 

Presentimento

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Presentimento – di Lorenzo Salsi

Presentimento fu quello che ebbi  una notte dopo un sogno complesso, quasi un incubo.

Sognai e vidi l’uso di velivoli come bombe.
Alcuni giorni dopo ebbi un vuoto bianco nel cuore, un bianco giapponese, un bianco di morte.
Ero su di un trattore, stavo lavorando,  quando mia moglie mi chiamò al cellulare per avvertirmi che le Torri Gemelle erano state colpite da due aerei, anzi da uno …..Partii velocemente per andare alla Villa dove lavoro , in una TV satellitare che abbiamo, usata di solito per le video conferenze, veniva trasmesso proprio in quell’istante l’immagine del secondo aereo che si schiantava sulla Torre Est ( o Ovest) .

E poi tutto bianco, polvere bianca, corpi bianchi, sepolcri imbiancate le auto e poi fogli, fogli, fogli, tantissimi fogli che il teleobiettivo rendeva bianchi, ma erano tutti fogli scritti, da qualcuno che in quel momento stava morendo o viveva un incubo terribile, un incubo bianco.

Notte di luna gigante

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Notte della vita – di Lorenzo Salsi

La Notte della vita, notte baldanzosa, notte di stelle appiccicate al cielo.

Notte, di quelle notti che se sei solo sei in compagnia, di quelle notti che camminando veloce ti fa sudare il collo, poco, quel tanto che ti basta a scaldarti nel gelo di una notte d’inverno.

“Notte fredda come la mano della morte / che prende il cuore mio e poi lo butta là in un fosso” (cit : “Notte”, Lucio Dalla).
Notte fatta di note da solo, su di una spiaggia con una chitarra, senza parole, senza fremiti, fatta di Luna bianca , grande, fatta del riflesso sull’acqua di quella Luna gigante, quasi una lama notturna .

Una notte…..meravigliosa????

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Una notte meravigliosa me la ricorderei…- di Emilia Caravaggi

Una notte meravigliosa?  Ci devo proprio pensare…. non mi sovviene io abbia mai avuto una notte meravigliosa! magari l’ho sognata e anche tante volte, ma nei miei ricordi non credo di averne mai avuta una meravigliosa. Me la ricorderei. Per cui passiamo ai sogni. Una notte meravigliosa la vedo sotto un cielo stellato con accanto la persona giusta che si preoccupa per te, che si ricorda di aprirti la portiera della macchina, di scansare la sedia quando ti siedi ad un bellissimo ristorante sul mare, di versarti un buon vino e di avere tanto da raccontare e sappia ascoltarti. Ho detto “ascoltare”! non sentire ma…….ascoltare.

La macchina fotografica

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La macchina fotografica – di Mirella Calvelli

Tante parole che esprimono a loro modo il bianco…bianco senza inizio o fine.

Bianco come primo colore o bianco come ultimo colore, perfetto più di tutti gli altri.

Una macchina fotografica, di una volta, quando l’obbiettivo doveva aprirsi sul mondo con la capacità o incapacità di catturare un’immagine e fermarla nel tempo.

Un mezzo, o una causa per eleborare un effetto..piacevole o sofferto.

Ma l’occhio che si dilata per accogliere immagini, si aiuta con questo strumento.

Una volta, il panno faceva scomparire l’attento osservatore e poi un rumore secco e abbagliante completava il compito.

Oggi mezzi sempre più piccoli e sofisticati riducono i tempi e permettono anche agli aspetti più evidenti di modificarsi.

Uno strumento così, sarebbe stato definito “ diabolico”…..Oggi invece  si ferma tutto dai piatti ,alle emozioni, agli eventi..tutti protagonisti o semplici comparse, ma abituati a quel fermo immagine, consapevoli della possibilità di cadere nell’oblio o cancellati con un semplice..click!!

Una volta ci si “abbelliva” per tale evento..poi arrivarono le foto spontanee e adesso è giunta l’era del “ fermosubitoimmagine”.

Ma in tutta questa alchimia frenetica di fermare, cancellare, modificare ed inviare sta l’impazienza del nostro tempo che vuole tutto adesso e poco importa cosa.

L’occhio con l’iride incuneata nell’obbiettivo o il semplice sguardo distaccato allo smart, ha voglia di rielaborare quel bianco, catturarlo e far correre all’impazzata i colori facendoli abbracciare l’uno con l’altro in un’immagine fissa, che diventa reale e forse…..perpetua  oppure astratta ed effimera.

Ma quell’occhio non smetterà mai di cercare, fissare e poi trasferire nella memoria.

Imparziale

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 Libera di non essere imparziale – di Carla Faggi

Non sono una insegnante né una coordinatrice.

Non sono una mamma né una nonna.

Non sono un giudice né un poliziotto.

Allora mi sento libera di non essere imparziale.

Quindi sono di parte, a te do una fetta di torta più grossa perché mi stai simpatica.

Sono influenzabile, mi fa piacere quando mi si fa i complimenti e li ricambio.

Ti scelgo, si va a fare shopping insieme?

Sono cattiva, non ti ascolto perché non ne ho voglia.

Sono intollerante, smettila perché non ti sopporto più.

Sono criticona, come è brutto quel film. Come? Ma è di Woody Allen! E chi se ne frega, è brutto!

Sono amorosa, ti amo perché mi ami.

Non sono bianca, sono un arcobaleno!

Lucidità

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Le foto su carta lucida – di Stefania Bonanni

Ho davanti agli occhi le foto di tanti anni fa, della mia famiglia. Quelle piccole, con lo strano contorno smerlato, stampate su carta spessa, della quale si vede e si tocca la trama in rilievo. Sembra pelle, quella carta. Come la pelle, ha cambiato colore. Si è ingiallita, e  proprio la tonalità di giallo racconta del periodo in cui fu scattata. Ce ne sono color  seppia, come immagini al tramonto. Altre quasi grigie, specialmente nello sfondo, altre proprio gialle, ma tendono al marrone, come se ci fosse stato versato del caffellatte.

Poi, passano gli anni, ricordo altre foto di me ragazzina, a colori stavolta, di strane dimensioni rettangolari, forse a misura di portafogli piccoli. I colori sono anche stavolta scuriti dal tempo, ma stavolta la carta è lucidissima.

Una carta finta, a prova di polvere, di ditate, di lacrime, una carta che fa sembrare finte le persone, strani i colori, ed anche i ricordi.

Penso di non essere mai più stata così lucida.

Notte di luna

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Notte per te – di Stefania Bonanni

Notte d’estate, e mentre guardi il buio, non pensi verrà il mattino.

Notte buia, così buia che ci si può affogare, che può essere mare profondo, o cielo, acqua stagnante, o stelle, e te, che non conosci altro che stanotte, sai che c’è posto, nell’ombra.

E improvvisamente non sei più piccola, non sei timida, non sei educata, né rispettosa.

E se arrossisci non si vede, e se ti commuovi non si vede.

E se alzi lo sguardo quei bagliori di stelle sono lì per te, e se guardi la luna, anche stanotte le vedi occhi, e naso, e bocca, e può essere per te. Tutto per te.

La malattia bianca chiusa nel non ricordo

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Non ricordare per vivere – di Roberta Morandi

Un’altra faccia del non ricordare, non avere la memoria di un evento o situazione, ci appare dirompente quando provi a far affiorare i ricordi lontani dell’infanzia, di quel periodo in cui gli psicologi ci parlano di traumi infantili subiti, che il nostro “ io” ha volutamente dimenticato per proteggerci, accantonandolo in un angolo buio di una scatola senza coperchio, inapribile, dimenticabile, di cui ci sfugge ora la sua esistenza. Ma è  proprio lì che certi guai son nati e si sono sviluppati, da quel piccolo non ricordo racchiuso al buio in una scatola sigillata per non essere più aperta, per non farti soffrire per farti affrontare la vita proteggendo quella parte che non deve essere visibile. Ma intanto lui, quel non ricordo nascosto e dimenticato, lavora dall’interno, dal profondo come un tarlo e quando poi le ferite e le cicatrici si vedono e appaiono chiare e nitide esprimendosi nelle malattie, ecco che si corre ai ripari.
È  il tempo di aprire quella scatola e di far uscire quel non ricordo, anche se non riuscirai a focalizzarlo, le ferite si attenuano e le cicatrici sbiancano, quasi a scomparire e puoi ripartire da capo…se vuoi.

La luna sulle ciaspole

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Notte meravigliosa – di Sandra Conticini

Mi piace il colore del cielo sereno illuminato dalla luna.

Ricordo la prima e ultima ciaspolata di notte alla croce del Pratomagno con la luna che si rifletteva sulla neve candida e non ci sarebbe stato bisogno delle torce per fare luce.

Spesso cadevo e quanta fatica per rialzarsi, ero tutta sudata, stanca morta, con le gambe e un ginocchio dolorante….ma questa è una sofferenza non è divertimento…….. Questo sport non era adatto a me e da quella esperienza decisi di attaccare le ciaspole al chiodo!!!!

Distanza

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Distanza – di Sandra Conticini

La prima volta che sei partita mi faceva paura tutta quella lontananza che ci sarebbe stata tra me e te, non eravamo mai state così lontane tanto tempo, eri ancora piccola per me. Ci sentivamo tutti i giorni, il tempo passò abbastanza in fretta forse perché approfittammo di periodi di ferie o vacanze per vedersi. Comunque quando tornasti ero felice e mi sentii più tranquilla e contenta perché era andato tutto bene… mi ero tolta un grosso  peso…. ormai era un’esperienza fatta, eri più autonoma e sembravi cresciuta.

Peccato che di lì a poco volesti fare un’altra esperienza e la distanza era davvero tanta….venire a trovarti era impensabile per tutta una serie di motivi….Questa volta avevi scelto un paese con una cultura e stili di vita molto diversi dai nostri….ed io ero molto più preoccupata….ma potevo dirti di no?  Non credo…i figli non sono nostri….ma  del mondo…..

 

Alba di una notte stupenda

 

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Una notte stupenda – di Rossella Gallori

Nacque,  ed era quasi Natale.

Nacque e lasciai gli incubi.

Non capii bene, perché fosse bionda,  perché avesse occhi verdi.

Nacque la prima cosa mia, con un nome che avevo scelto.

Nacque la vita e cancellò le mie morti.

Quando la strinsi al seno,  mi accorsi che non mi somigliava  dentro, stranamente ne fui felice,  non volevo che avesse le mie paure, la mia rabbia, i miei tormenti.

Nacque lontana dai brutti sogni ed era l’alba di una notte stupenda

Notte nordica

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Notte bianca del nord – di Nadia Peruzzi

Non te lo aspetti anche se lo hai letto. Lo sai, ma non la immagini così. Siamo ben oltre la mezzanotte e la linea dell’orizzonte è ancora un fuoco che non accenna a spegnersi . Non c’è forza che riesca a spingere il sole  sotto coperta.

Le stelle baluginano senza convinzione, flebili, fioche, sbiadite. La luce che punteggia occidente è così forte che ha la meglio su di loro.

Il giorno non ha nessuna voglia di finire e tu ,come lui, nessunissima voglia di cedere al sonno.

Non è solo lo spettacolo che hai di fronte che ti rende vigile. E’  una energia che non sai di avere, ma si affaccia prepotente, alimentata dalla luce, a tenerti sveglio. Tu sei diventato come il giorno, sei il giorno, sei in grado di percepire la forza della natura con i suoi corsi e le sue regole. Ti senti euforico e insieme consapevole della tua finitezza e della immensità di ciò che ti circonda. Tutto questo ti esalta ma anche un po’, solo un po’, ti spaventa.

Le tue antenne sensoriali ti fanno percepire quello che sai: la luce è la vita .Come un click qualcosa ti è scattato dentro, come una rivelazione.

Dormire a queste latitudini, in estate, lo vivi come una colossale perdita di tempo anche solo nel tuo ruolo di visitatore temporaneo.

La veglia ha la meglio sul sonno e non può che essere così se vuoi  bere a gran sorsi la vita e incamerare  tempo vissuto attimo per attimo prima di precipitare di nuovo nella lunga notte invernale.

Non la vivrai quella notte, ma se fai correre la fantasia puoi immaginarla.

Una immensa coperta di cielo stellato che lentamente avvolge piccoli borghi e città,,spegne i rossi i blu i verde e i gialli delle case lungo i fiumi e i laghi ghiacciati. Ti sembra di vederla mentre  copre tutto con fare protettivo, anche il candido lenzuolo di neve che rallenta i movimenti e ottunde i suoni.

Non resta molto lì, appesa. A oriente una sottilissima lama di luce è pronta  prepotente a farsi strada per far nuovamente parlare di sé !!

 

Quell’attimo bianco in cui ci si innamora

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Flash bianco – di Gabriella Crisafulli

Era il 9 gennaio ed era nevicato. Tutti i programmi andarono all’aria. Si voleva andare a fare una girata ed invece ci trovammo costretti a stare in casa. Si mise su una festicciola danzante per passare il pomeriggio.

Pensando di dover stare fuori all’aperto, mi ero coperta ben bene ed avevo qualche indumento di troppo. Così cercai di adocchiare dove fosse un bagno per togliermi qualcosa, non so, la maglia intima o il golf.

Mi misi a girellare per la stanza sbirciando le porte dell’appartamento. Non volevo chiedere.

Così dopo un’attenta esplorazione senza aver concluso nulla, mi appoggiai ad uno stipite in attesa di venirne a capo.

Dalla parte opposta della stanza c’era un tizio, mai visto e conosciuto, che senza dire una parola mi fece cenno con l’indice in una certa direzione.

Fu così che mi potei liberare di qualche strato di troppo e venni fuori dal bagno con solo la gonna ed una camicetta a righe bianche e nere.

Ero profondamente grata a quel ragazzo che mi aveva tolto da un tremendo imbarazzo in maniera semplice, disinvolta ed anche un po’ sorniona.

Volevo ringraziarlo, ma non sapevo come fare.

Secondo il codice comportamentale di una ragazza meridionale, non è mai lei che rivolge la parola per prima ad un uomo. Così feci quello che mi consentiva la mia morale e cioè mezzo giro di tavolo per avvicinarmi a lui.

Me lo trovai seduto accanto durante un gioco.

Il suo braccio sinistro era alle mie spalle e poggiò per un attimo la mano tamburellando.

La scossa fu fortissima.

Flash bianco.

Innamoramento

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Ho perso la memoria

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Ho perso la memoria – di Roberta Morandi
Fare pulito  intorno, sbiancare il pensiero attivo, resettare il tutto… avviare il nulla, come su un lenzuolo bianco che non si lascia più scrivere né a diritto né a rovescio.
Comincia in sordina con pochi elementi che se ne vogliono andare, difficili da riacchiappare, poi, piano piano ci fai l’abitudine a rincorrere le parole quotidiane. Provo una volta ad acchiapparle, a rinchiuderle nelle scatoline: per un po’  stanno lì ferme, immobili e contente di esser ancora usate… poi, lentamente sfumano. E fin tanto che sono solo parole poco male, le sostituisci con altre o con giri più elaborati in discorsi che diventano lunghissimi e talvolta senza capo né coda, perché troppe sono le parole sfumate, ma quando ad andarsene sono situazioni, avvenimenti, luoghi, ricordi e perfino odori e suoni e sapori…che fare?
Come sostituire parti del tuo vissuto del tuo “te” che sei stata e che ancora sei, nelle  cicatrici che ti porti addosso, che ti senti dentro…non ricordi?
Ecco, percepire questo stato credo sia molto doloroso: come lasciare una parte di sé e aggrapparsi a quella vicina che ancora regge e vuoi a tutti i costi fermarla, così la ripeti una, due, e tante volte, ossessivamente, solo tu sai perché,  gli altri ti guardano, scuotono il capo e ti compiangono: ecco, improvvisamente sai che sei vecchio. I non ricordi ti caratterizzano, ti inquadrano, ti incasellano in uno stato limbico, fatto di sorrisi, di mezze parole e verità sfumate, di condiscendenza, di “prego si accomodi”. Uno stato di biancore non dipinto come la luce negli acquarelli  (il bianco non c’è), tu piano piano sfumi: non ci sei.

Il cinema

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Schermo – di Nadia Peruzzi

A volte parete, a volte lenzuolo, più spesso stoffa tesa come si conviene, quasi come fosse base per un quadro tutto da riempire di giochi di colore.

La macchina dei sogni ha bisogno di questo enorme spazio bianco.

Solo così le immagini che scorrono possono prender vita.

Sta lassù alto, quasi incombente. Te lo trovi di fronte appena ti metti seduto e quasi quasi te lo senti addosso, da come è avvolgente. Ha un effetto magico ti cattura anche a luci accese, mentre aspetti che il film abbia inizio.

Cattura e regala emozioni. Consola e rasserena, talora opprime e mette ansia, induce al riso o al pianto. Coinvolge, sconvolge, travolge con le sue storie di tutte le storie e vite di tutte le vite.

Ti senti come Alice trascinata dentro questo mondo parallelo in cui ritrovi anche parti di te stesso.

Non c’è nulla come il cinema. Fantastica invenzione!

Le immagini si rincorrono in questo immenso campo di gioco, colori, personaggi, paesaggi risaltano e quasi quasi sembra che tentino persino di fuoriuscire. E il campo di gioco altro non è che un semplice rettangolo, che semplice non vuole essere affatto visto che un po’ bara in funzione di complessità.

Ama farsi complice di artifizio, restituire la magia della magia, e farlo alla grande !

Non c’è televisione che tenga, ne’ pollici sommati ad altri pollici. La magia del cinema solo il grande schermo ce la può regalare.

Il lago di Como di Gabriella

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Quel ramo del lago di Como – di Cecilia Trinci

Gabriella e il suo Lago di Como mi hanno fatto tornare alla mente I Promessi sposi, quel suo incipit inconfondibile, “quel ramo del lago di Como….” e subito dopo, quasi in una apparizione inevitabile, Maria Fazzi, la mia insegnante del ginnasio, che quel libro me lo ha fatto amare 

Era alta.

Severa, elegante, vestita sempre di  marrone, di grigio, di nero e in classe metteva, con umiltà,  un grembiule lucido, allacciato in vita

Aveva i capelli raccolti in alto in una pettinatura rinascimentale, montati come a formare un cuore sulla sommità della testa, senza che mai un pelo sfuggisse via.

Sembrava una fata.

Aveva una dolcezza così sconfinata da sembrare una carezza vivente.

Era una professoressa di lettere che sorrideva, che apriva i libri e leggeva dolcemente la letteratura commentandola e paragonandola alla vita.

Una che diceva:

– Oggi non interrogo perché sono nervosa e il mio umore potrebbe influenzare il giudizio su di voi!

Mi ha fatto amare tutte le storie che ci spiegava.

Manzoni l’ho riletto cinque volte: Renzo, Lucia, L’Innominato, Don Abbondio. Di ogni personaggio  ci faceva capire i lati belli e i lati negativi. Ma faceva il tifo per i coraggiosi e quelli che si schieravano con una qualche morale.

Non parlava mai della sua vita privata, di sentimenti o di altre persone che vivevano intorno a lei.

Stava  con noi in modo esclusivo e sembrava che fosse solo nostra.

Ci sentivamo protetti, compresi, come se ogni mattina  tendesse  un filo di seta con ognuno di noi.

Raramente interrogava. Eppure sapeva chi eravamo, quanto sincero o no  fosse il nostro pensiero, quanta attenzione fossimo disponibili a darle ogni mattina. Non chiedeva.

Lei dava. La conoscenza, la sicurezza, la volontà. Sembrava aprisse ogni mattina il suo bagaglio e lo distribuisse.

Penso che fosse incapace di ammalarsi e non è mai mancata.

Mi ricordo ancora la sua ultima lezione di quinta ginnasio: ci raccontò di Pompei, dell’eruzione del Vesuvio  e di come quella città fosse rimasta intatta, bloccata nel suo ultimo attimo fatale. Ci comunicò quella atmosfera di terrore, di impossibile fuga, di terribile  fine di una intera civiltà, come se fossimo lì davanti alle fiamme, alle grida, alla lava che scendeva sulle case.

Lei raccontava e io pensavo che niente ci appartiene per sempre.

Pensai che anche lei stava sparendo e che quello era il nostro ultimo giorno insieme.

Non l’ho più rivista.

 

« Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. »
(Alessandro ManzoniI promessi sposi1840)

Luna di gennaio

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Luna di gennaio – di Rossella Gallori

La luna immensa sembrava proteggerci quella notte di gennaio

 Bevemmo la neve, sotto bianche lenzuola di ghiaccio.

 Intorno, qualcuno, sparlava di noi ,

che ibernati  nella nostra storia ci tenevamo per mano.

 Abbiamo bevuto fiele, sotto coperte amare.

Intorno a noi risate sommesse, sguardi  di legno.

 Tra noi il freddo inverno del silenzio.

Apparizione

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Il faro nella nebbia – di Patrizia Fusi

La giornata era fresca,   il cielo reso bianco da soffici nuvole, sul promontorio la lampada accesa del faro lampeggiava, avvisava che la costa era vicina, dal mare saliva un velo leggero di nebbia che avvolgeva il tutto come una morbida sciarpa, rendendo il luogo magico.