Il bianco della tavola apparecchiata

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La tavola apparecchiata – di Cecilia Trinci

“Vi invito per una giornata in campagna…non so voi, ma noi usciamo da un periodo così umido che non se ne può più. Abbiamo bisogno di sole, di aria….allora venite! Solo per stare un po’ insieme…non faccio niente … davvero….solo due cosine per mangiare insieme e poi andiamo a camminare al sole! Non portate niente! Venite con le mani in mano! Solo per stare insieme….Vi aspetto”.

Invece, dopo un sabato estivo, la domenica in questione si apre con la pioggia a dirotto e il freddo inaspettato, con l’idea della neve e l’umido freddo che si infila dappertutto.

Comunque andiamo….tanto per stare insieme….! Pioggia …vento e anche neve per la strada provinciale e poi dopo su per i tornanti….arriviamo che batte forte la pioggia e l’ombrello non basta perché tira anche vento.

Appena aperta la porta  ci accoglie un bel caminone acceso e … una tavolata riccamente apparecchiata di bianco per ….uno, due, …. nove …… dieci!

–  Chi viene? chiedo con cautela, pensando che avevamo capito che saremmo stati in pochissimi

– oh sai……già che c’eravamo abbiamo chiamato i Tizi,… i Cai…..e i Semproni. I Nondetti  non possono venire….avevo chiamato anche i Fantasmini ma lui non poteva e lei aveva la mamma anziana a casa….

E così l’idea di quel “non faccio niente…tanto per stare insieme” naufraga miseramente su tutti quei piatti del servito buono. Guardo il camino: nostalgia forte e improvvisa del mio, di casa mia, dei monti miei….ma il fuoco scalda tutto e brucia via tutto. Dalla finestra pioggia pioggia pioggia.

–   Ho fatto delle cose semplici, mi devo ancora riconciliare  con la cucina toscana….non sono ancora in sintonia con questi mangiari rustici, con queste tradizioni antiche…..mi devo ancora ritrovare…Mi sono avventurata in questa arista che chissà come mi criticherete ……già lo so che avrete da ridire!

Ma perché l’esame di maturità a questa povera  arista,  che cuoce, lo vedo, in un rotolo immenso, succulento  e abbronzato, dentro un forno smagliante?

Alla fine si decidono:  mi affidano dei pomodorini tutti uguali, chiedendomi  di tagliarli in quattro e mi fanno pure vedere come: –   mi raccomando  così ….in quattro pezzetti precisi, mi ci vogliono proprio così, vedi, tagli così e poi così, mi raccomando precisi… E io taglio…precisa, attenta a non sgarrare…chissà dove andranno messi ‘sti pomodorini…..

Poi mi chiedono anche di coprire dei quadretti perfetti di pan carré già tagliati con una salsa bianca…. – Non troppo né troppo poco, così, vedi, con un po’ di ricciolo, perché se no sopra non si infilano le fettine di pomodorino (altri o quelli di prima? Mah!). Mi avvio alla prova della tartina e riempio. Altri piatti coloratissimi con gli antipasti vengono aggiunti sul tavolo, dove già è sistemato il servito buono, le candele nei lunghi candelieri, le posate della nonna….Aspettiamo.

Le una……una e mezzo…

– a che ora vengono?

– ora pranzo….(che ora sarà l’ora pranzo?)

Alle due meno dieci eccoli: un gruppetto bagnato e infreddolito si infila nella cucina calda.

– Ciao! OHHH o chi c’è!!! Ma come stai? Ma come state? O voi!? O te!? O ma che bello ma che brava!!!! Ma come! Ma come sei meravigliosa! Ma che casa stupenda!!! Ma che gioiellino! Ma che finestre! …..Quadri! Sembrano proprio quadri! Bello! Ma bello bello bello! Una casa che…..unica!!!! Che particolari perfetti! Guarda qui, guarda là … e questo e quello……!!!

Ci sediamo.

Noccioline, aperitivo e tartine….colorate….pomodorini e salsa bianca…. Lei sparisce  a cuocere la pasta. La serve infine in un vassoio di coccio rotondo, condita con un trito di rucola e pomodorini appassiti (i miei! Eccoli finalmente! Ma valeva la pena essere così precisi negli spicchi?) Che ore saranno? Guardo l’orologio: le tre meno un quarto….

– Volete scaldarla col peperoncino? Sì perché nell’olio caldo il peperoncino si esalta e si riscalda e ….riscalda…..!

– Meraviglia!!!!! Che idea!!!! Che genio!!!!  ma sei straordinaria!!!!!!!!

– Questa è una ricetta contadina, del popolo! Una ricetta antica! Sapete ma….io mi devo ancora riconciliare con il mio passato, con la mia terra…con i ricordi…..e così dopo tanto ho fatto questo piatto antico, rustico, semplice eppure emozionante!!!!

Buoooooooono! Ma veramente b u o n o!!!!! e fioccano a raffica i vari altri:  Che bontà! Che bravura! Che piatto stupendo, indimenticabile!!!! Buono! Ma buono buono buono!- Ma veramente! Una cosa indicibile!-  Ma come sei strepitosamente brava!- Brava! Ma che piatto! Ma che bontà! Ma che delirio di sensi e gusto!

E che idea questo peperoncino! E l’olio caldo! – Ma come hai fatto? Ma che ci hai messo?????

– Eh ho preso la rucola…..ho tagliato le foglie e le ho messe una per una ad appassire sul fuoco, poi ho aggiunto i pomodorini tagliati a spicchi (ah eccoli i miei pomodorini precisi precisi) e li ho fatto sobbollire un poco e poi girati e poi conditi e poi e poi….(Ah!!! ma perché dovevano essere precisi!!!!!)

E di nuovo fioccano i  – Ah ma buono guarda veramente BUONO! – Ma la pasta poi! Ma che pasta è? – Radiatori della Garofalo! – Nooooo! La meglio! Senza dubbio la Garofalo è proprio la meglio in assoluto e poi questi radiatorini……mmmmmmhhh che bontà, che delirio che splendore….

Proseguiamo con la salsiccia di cinta alla brace (ahhh buona! Ma com’è …! ecc ecc) e la famosa arista all’uvetta e spezie, che naturalmente è…..BUONISSIMA!

Ma com’è fatta questa arista meravigliosa? – con  timo, finocchietto, uvetta….. – Ma che spettacolo!

E le patate e gli zucchini tagliati a rondelle fini e limonate….Colori: giallo, verde, marrone, bianco…..…. E vino nero….perdutamente Chianti!

Satolli ci guardiamo finalmente in faccia, ma …ma…..finisce lì……

A salvare la conversazione un vassoio rotondo con petali di pecorino a coronare un cuore verde di baccelli sgusciati.

Arriva infine il dolce:  un’enorme ruota di crema e frutta. Gli animi si svegliano nuovamente: – OOOOOOHHHHHH! – Bella buona brava ecc ecc!!!!

Tintinnio di brindisi, caldo da vino….ma i ricordi non vanno oltre il vecchio cineforum dove si andava con poche lire. Prevale invece il presente, i tentativi falliti di “svoltare” mascherati da opportunità sgusciate via dalle tasche bucate del paltò, “peggio per loro! Son loro che hanno perso noi, la nostra unicità, la nostra bravura!” E se si chiede troppo è come toccare una tana di ricci spaventati. Alt, c’è una sottile linea trasparente oltre la quale non si può andare. Viene da chiederci “ma chi siamo?”. Chi siamo stati? Chi siamo diventati? E soprattutto “cosa abbiamo fatto delle nostre vite, delle nostre opportunità, della mano di carte quando toccava a noi sparigliare?”

Ma nessuno lo chiede e ci spostiamo sul divano.

Si potrebbe raccontare dei nostri passi diventati più lenti, delle persone che abbiamo perso, delle paure, anche delle sconfitte. Tra amici si può!….. Ah no? E’ proprio con gli amici che non si può dire ho paura???? Ma come? Da quando? E no!  E tanto meno si può dire ho tanto freddo qui, sul lato del cuore…….Ma forse è il camino che si sta spengendo.

Salta su per fortuna il cambio di tappezzeria del divano! Ah si si che bello! Possiamo dirlo che abbiamo rinnovato la cucina e non si riconosce! Ora sì che ci rappresenta…che dice chi siamo noi!

– Verrete a vederla spero!

– Come no?

– C’è il sole. E’ smesso di piovere!

– Via via …..Andiamo a camminare!

Il sole comincia a uscire dalle nuvole strappate, fa capolino dalle finestre-quadro. Gli alberi ritornano fioriti, la grondaia del tetto non butta più acqua. Fuori, sul terrazzino ci sono le pansé. Bagnate, ma piene di colore.

Il cielo si è lacerato in boccoli bianchi, soffici e gonfi. Mi sento che vorrei scappare……Forse lo sentono anche loro perché da quella volta neppure più quel “Venite vi invito per una giornata di primavera! Non portate niente…si fa per stare insieme…..” Occhi sgranati troppo imbarazzanti?….troppo cuore. Aperto.  Altro che finestre-quadro!…..Troppo cuore aperto in cerca di parole.

Una giornata dedicata alla scrittura per gli animali – Gatti, conigli e altre storie …..

Per “I mercoledì de La Matita per scrivere il cielo” – 24 gennaio Bibliocoop Bagno a Ripoli – tre storie di Luciano Giannelli, Rossella Gallori, Mimma Caravaggi

In ottava rima  – La storia del gatto Bartolo(Meo) di Luciano Giannelli

Salendo per le scale come usato

Stanco per l’eccessivo lavorare

Non mi pensavo mi sarei trovato

Un nero gatto cui dover badare

Inver da giorni si era osservato

Di cuccioletti strano passeggiare

Ma non credevo, da persona accorta,

Trovarmi un gatto proprio sulla porta.

 

Ristava lì, dimesso e mingherlino

E mi guardava con disperazione

Moribondo esemplare di felino

In cerca certo di cibo e padrone.

Mettermi gatto in casa e piccolino

Certo non era nella mia ambizione

Ma per la compassion che ci s’abbatte

Gli diedi mezza ciotola di latte.

 

Gliela lasciai dinanzi della porta

Ch’entrasse in casa poi non era il caso

Ed io pensavo fosse mossa accorta

Lasciarlo fuori a succhiar dal vaso

Che altra soluzion non s’era scorta

Per un gattin ch’ha lo zerbino invaso.

Di conseguenze la scelta fu foriera

Perché il giorno di poi lui ci riera.

 

E mi guardava con aria fiduciosa

Pensando aver risolto il suo problema

L’aria che aveva era certo amorosa

Semplice assai lo teneva lo schema

Tranquillo se ne stava in quella posa

Senz’ansia, senza affanno e senza tema.

Era tornato lo scimmione buono

Che di quel latte gli avea fatto dono.

 

Passato in casa, si dové costatare

Che breve si poneva la questione

Che se alla fame si potea badare

Con quel catarro che tenea bordone

Non si sapeva certo cosa fare

Triste si prospettava soluzione

Per il momento non s’immaginava

Ch’era il rumor del gatto che ronfava.

 

Ronfava proprio senza soluzione

Tanto felice era il bel gattino

Felice prospettava la stagione

Avea chi gli poteva star vicino.

E non che fosse una sua pretensione

Siccome ch’era tanto piccolino

Che lo badassero era naturale

E lì non si trovava proprio male.

 

Così Bartolomeo detto Meo

Venne ad allargare la famiglia

Non c’era discussion né piagnisteo

Gatto radagio è di chi se lo piglia.

Sembrò che non avesse neanche il neo

D’esser bastardo oppure ci s’appiglia

Al libro che di saggio ha pretese

Nel dirti che lui è un siamese inglese

 

 

Crebbe contento e crebbe assai tranquillo

Senza sortir di casa alcun momento

Pungeva qualche volta col suo spillo

Ed è sicuro che io lo rammento

Poiché m’entrava a letto tutto arzillo

Di certo provocando un gran fermento

Quando restavo oltre la decenza

Destinata m’era questa penitenza.

 

Dopo d’un tempo cominciò a sortire

Perché era grande e la gatta tirava

Era tutto un tornare e rifuggire

Secondo la gattina lo chiamava

E ritornava stanco per dormire

Distrutto certo da chi lo spompava

Diviso insomma fra bagordi e amori

Viveva bene dentro e bene fuori.

 

Però non sempre la cosa funziona

Banali eventi posson rovinare

Una vita tranquilla e un po’ sorniona

E tanto accade e tu non sai che fare,

Sovente la tua pace condiziona

Cosa minuta da non considerare.

Se torni a casa ed è chiusa la porta

Non puoi saper dove questo ti porta.

 

E tanto accadde in una settimana

O anche meno ch’eravamo assenti.

Rimase Meo lì gnaulando in vana

Ricerca dei padroni impenitenti.

Rimase dico alla porta sottana

E pure visto da quei deficienti

Che con noi stavan in buon condominio

Aprir la porta gli parve abominio.

 

E così ti smarrimmo, o caro Meo

Tristi mirando una tua sorellina

E ricordando, ed era piagnisteo,

Come ammalatasi la nostra bambina

Tu stavi lì e parevi un cicisbeo

Lasciando il letto sol per pisciatina

Fatta di corsa, tornando con pazienza

A porgere la tua piena assistenza.

 

Né fu che ti perdemmo e ti scordammo

Ché un bel giorno, in una strada ascosa

All’improvviso noi ti ritrovammo

Corresti incontro con aria giojosa

Girarti e rigirarti ti mirammo

Convinti di riaverti, ma una sposa

Ti deve aver chiamato dietro un muro

E ci sparisti dentro un buco scuro.

 

Fu peggio mesi dopo in un canneto

Ch’era infestato di gatti bianchi e neri

Eri tra loro e neanche in segreto

Vivesti un dramma, ad essere sinceri

La torma ti chiamava nel forteto

Ma noi agitavamo i tuoi pensieri.

A lungo esitasti sul che fare

Però al fin ti decidesti a andare

 

Anche se per minuti lunghi assai

Intensi gli occhi tuoi ci fissorno

D’allora non t’abbiamo visto mai

E si passava giorno dopo giorno

Dicendo se succede e casomai

La tua sorella l’avevamo intorno

Randagia, né ci siamo accorti

Come né quando voi due siate morti

***

Siria, la mia gatta – di Rossella Gallori

La mia vicina di casa ha sempre avuto un debole per gli animali: conigli bianchissimi, cagnolini biondi e se  ben ricordo ha avuto anche un furetto, tutti deceduti per distrazione, riempiti di grande amore ed abbandonati al primo intoppo. Quindi, spariti cani, conigli, furetti  e  fidanzati vari, la mia vicina decise per un gatto, una gattina grigioazzurra, una certosina dagli occhi verdi, che io vedevo raramente, ma sentivo miagolare spesso.

Ma l’intoppo arrivò, puntuale: il rifacimento delle facciate….e le mia vicina decise di far abituare la gattina a star fuori, Siria ( nel frattempo aveva ottenuto un nome) non ne fu felice:  aveva pochi mesi ed il freddo ed il rumore la spaventavano……

Approdò in casa nostra.

Semplicemente ci scelse e basta, non volle più tornare  da dove era venuta….appena sentiva la voce di lei   scappava, sotto il letto, riusciva a starci anche due giorni….

Siria mi ha scelta, ed io ho scelto lei, non desideravamo essere diverse, ci siamo amate per quello che siamo, pregi e difetti, grandi tristezze, incazzature  faraoniche, silenzi  improvvisi, voglia di nascondersi, desiderio di graffiare, far male ….farsi male…il nostro modo  incompreso  di far capire che esistiamo.

Ad ogni mio evento lei c’ era …il diploma di Alice, la laurea di Alice, i fidanzati di Alice….squadrati ed ignorati, da lei ed anche un po’ da me….

Ma sono i momenti più  tristi, quelli che mi legano a lei , quando dormivo di giorno dopo le nottate a mia madre e  restava immobile aderente al mio corpo  per ore …senza lamentarsi se nel mio agitato dormiveglia le schiacciavo la coda….e come leccò le mie lacrime quando la mamma decise di non vivere più.

Siria mi somiglia: sembra forte, indifferente, anche un po’ stronza, ma è fragile, sussulta per un nonnulla, ignora chi non la ama…oppure, proprio come me finge indifferenza  per salvare quel poco che le resta da vivere, altrimenti , come me, non ce la potrebbe fare. Mi ha sostenuto nella mia battaglia persa, quella con mio fratello malato, a  lei bastava che tornassi, facessi una doccia, indossassi il mio profumo, una scodella io, una ciotola lei…..poi gli altri dicevano la loro…..ma lei con il suo ronfare mi distraeva, mi rincuorava…..

Ha rotto in gioventù  qualche soprammobile,  mi ha graffiato gambe e braccia, ma sempre e solo per dirmi” OH MA SEI VIVA? .”  per ricordarmi di restare con i piedi per terra.

Siria ha  diciassette anni, o forse ne ha  uno in più   e non li nasconde, è scorbutica , mangiona, dorme quando deve star sveglia ,e viceversa. Io son sempre più Siria e lei sempre più Rosy ….si tuffa nelle cose che sanno di me, del mio Paris …..io cerco il suo  grigio mantello da accarezzare  quando voglio ritrovare un po’ di equilibrio.

Dei gatti si dice che sono opportunisti, menefreghisti….. non so come sono gli altri …., io so come è lei ….la mia gatta….una certosina grigioazzurra ……che come molti dicono,  non andrà oltre i ventanni….! Ma poi  che ne sa la gente, son tutti veterinari, psicologi  ….tuttologi….

Siria starà  con me …per sempre… come  tutto ciò  che si ama…..

***

UNA FAMIGLIA DI …. CONIGLIETTI – di Mimma Caravaggi

Avevo invitati a cena e gli ospiti si presentarono con un regalo  al di fuori di ogni regola:  ben due coniglietti bianchi soffici e morbidosi che mi fecero sciogliere subito come neve al sole. Piccoli e grassocci. Appena li toccavi l’istinto era di portarseli al viso e affondarlo in quella massa pelosa. Ti rilassavano come un antistress naturale. Mi dimenticai di tutto: della cena e delle pietanze sul fuoco. Non volevo più staccarmi da quei due soffici animaletti. La mia vita cambiò molto. Diventai apprensiva. Oltre ai cani non avevo mai avuto altri animali in casa, questa era una novità.  Fortuna volle che, Renata, una cara persona che mi aiutava con le faccende di casa e conosceva gli animali da cortile, mi alleviò la preoccupazione di trovare loro da mangiare visto che  non sapevo proprio nulla in proposito. Così i miei coniglietti crebbero belli grassi e contenti. Detti loro un nome: Pippo-pippo al maschietto e Pandora alla femminuccia. Alberto, mio marito, costruì per loro, con tanta passione e maestria, una gabbia  di legno bellissima e capiente che mettemmo dentro il  vecchio, enorme e  non usato caminetto in salotto. Pandora era calma. Se ne stava tranquilla nella sua parte di gabbia, Pippo-Pippo invece prese l’abitudine di troneggiare sopra e di scendere sempre da una lato e risalire dall’altro dopo aver fatto una piccola sosta davanti alla sua bella. Ero felice. La sera dopo il lavoro aprivo la gabbia e anche Pandora   usciva e in una di queste sortite successe il “fattaccio”: lei rimase incinta ! Fu una bellissima esperienza che non potrò scordare. La sera prendevo Pandora la tenevo in collo e allentavo tutta la tensione della giornata passata al lavoro. Era di un soffice e così morbida, era un piacere coccolarla e a lei piaceva molto e andava in catalessi non appena la mettevo a pancia in su. Alberto provvide a costruire una grossa scatola di legno  con un piccolo ed unico pertugio per entrare e lì Pandora iniziò a preparare la “culla” strappandosi tutto il pelo dell’addome misto a fili d’erba; il tutto di una pulizia meticolosa. Mai usò quel rifugio come lettiera. Dopo soli tre mesi nacquero due piccolissime e meravigliose conigliette a cui detti i nomi di Isotta la più grassoccia e Fraschina la più piccola. Erano un capolavoro. Mai avrei pensato nella mia vita che mi sarei affezionata tanto a dei conigli. Le piccole erano un terremoto. Fuori dalla gabbia erano uno spettacolo : danzavano. Sembravano due piccole ballerine in bianco tutù che saltavano  piroettando  in aria atterrando poi delicatamente a terra come petali di fiori nell’acqua. Ero incantata. A volte si nascondevano sotto i mobili e le sentivo grattare, così le richiamavo a voce imperiosa per farmi ubbidire  e la bellezza era che si fermavano immediatamente,  affacciandosi con la sola testina da sotto il mobile. I loro musetti erano uno spettacolo e come due birbe dopo essersi accertate che non c’era nulla di cui preoccuparsi tornavano tranquillamente al loro grattio, ben  nascoste. Il gioco si ripeteva per gioia mia e di Alberto. D’estate si trasferivano nella “seconda casa” costruita in giardino dentro un recinto dove scorazzavano tutti liberi e felici per andare a coricarsi nella scatola con quell’unico pertugio che serviva loro come camera da letto e da dove potevano  affacciarsi ad ogni rumore curiosi come non mai. Un giorno dei nostri amici mi chiesero di prendere il loro coniglietto, abbandonato dal nipote, e lasciato a volte senza mangiare in una piccola gabbia posta in giardino lontana dalla casa. Fui colpita dalle condizioni in cui riversava quella dolce bestiolina e non riuscii a dire di no. Così portai a casa Peppiniello, di razza diversa e molto più piccolo dei miei. Peppiniello è stato una nuova scoperta. Misi anche lui nel caminetto prima in gabbia poi libero perché non combinava guai era dolcissimo e andava d’accordo con Pippo-pippo. Prese l’abitudine, appena mi presentavo in salotto la mattina, di farsi trovare sull’angolo del caminetto. Io mi chinavo mentre lui si metteva in piedi e con la sua linguetta rosa e rasposa mi dava tanti bacini sulla guancia o sul naso. Io mi commuovevo pensando che a volte gli umani non riescono ad essere così affettuosamente dolci. Erano la mia famiglia!!! La sera tornavo dal lavoro, stanca ma appena li vedevo e mi venivano incontro sul bordo del caminetto tutta la stanchezza passava in un attimo. Poi a volte mi mettevo Pippo-pippo in tasca e lo portavo in giro per casa con me poi facevo un cambio, a volte ne mettevo anche  uno per tasca e me li portavo in cucina a  preparare la cena. Era bello tornare a casa e trovare questa morbida e calorosa accoglienza. Non potrò mai dimenticarli anche se era faticoso tenere pulita la gabbia e, dargli da mangiare cercando di variare la dieta evitando  le stesse cose ed era bellissimo vederli mangiare una mela o una pera o la famosa carota attaccata ad un gancio mentre ci si buttavano sopra voraci e si spintonavano per il posto migliore come due bambini dietro ad un gioco. Pandora e Pippo-pippo sono stati con me cinque anni e sette anni Isotta e Fraschina. Peppiniello fu l’ultimo ad andarsene, era arrivato più tardi e devo dire che ho pianto calde lacrime quando uno alla volta mi hanno lasciata. Per un lungo periodo non volli più nessun animale in casa perché la sofferenza era stata tanta. Ero risoluta nella mia decisione fin quando mamma non arrivò con ……….

Scrittura come soggetto teatrale – Intervista a Alessandro Riccio

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Scrittura come soggetto teatrale in:

“Diciassettesimo capitolo”

Scritto e diretto da Alessandro Riccio

Teatro Comunale di Antella dall’11  al 24 gennaio 2018

 

Intervista di Cecilia Trinci a Alessandro Riccio

Alessandro Riccio – attore, regista e scrittore fiorentino di grande versatilità. Definito “esperto di trasformismo” per  “Il lungo studio della relazione espressiva tra corpo e personalità” che gli permette ogni volta di materializzarsi  in personaggi diversi, aiutato dall’uso sapiente del trucco e di sontuosi costumi e parrucche, che rendono il suo stile inconfondibile e personale e a cui ricorre per sottolineare l’importanza della fisicità dei caratteri.

 

Un pubblico attento e innamorato quello che Alessandro Riccio da molti anni coltiva, rispettandolo e ascoltando le emozioni che manifesta in teatro,  considerandolo non come indistinta barriera di sagome sedute in  poltrona, ma come realtà palpitante e presente.

Un pubblico che nel tempo si è affinato, nel gusto, nella competenza e nella consapevolezza, come lo stesso Riccio descrive e come appare dalle risposte alle domande, a corredo  di questa intervista.

“Diciassettesimo capitolo” è uno spettacolo che si allontana per certi aspetti dallo stile inconfondibile di Alessandro e a cui siamo abituati. C’è chi ammette di seguire lui ovunque vada, indipendentemente da ciò che mette in scena, ma una volta visto, il pubblico sa distinguere e giudicare.

Qual è il segreto di tanta affezione? Il pubblico fiorentino è difficile, esigente, poco incline alla benevolenza.” “ I fiorentini amano la semplicità, l’essenza e capiscono quando nelle cose ci metti l’anima, risponde Alessandro. La mia grande testardaggine, la  tenacia è la  mia forza. Ho fatto sempre quello che ho amato e ho rispettato il pubblico, i suoi gusti, i suoi tempi. Le persone vengono a teatro e ti fanno un regalo,  le devi conquistare, le devi stravolgere, dare uno scossone, ricaricare le loro batterie e allora tornano. Devono sentire che quando escono non sono le stesse di quando sono entrate. Anche lo spazio teatrale si carica dell’entusiasmo che si esprime sul palcoscenico e lo ridistribuisce al pubblico. L’entusiasmo è contagioso. Poi è importante informare. Non si va a vedere un testo per un volantino. Il passa parola è l’unico mezzo efficace. Devi convincere, dare notizie dirette. E’ la fiducia che conta! Oggi i mezzi di comunicazione possono essere infiniti.  Il blog funziona molto per il teatro ma ce ne sono pochi ancora. Ho con molti che mi seguono un rapporto anche personale e mi piacerebbe averlo con tutti. Non sono snob e non mi piacciono i formalismi. A Firenze la mancanza di forma trionfa. Siamo semplici, abbiamo bisogno del contatto”.

Il tuo pubblico è davvero attento, parlando con me hanno motivato il loro appprezzamento e hanno sentito il lavoro che c’era dentro a vari livelli: nella sceneggiatura, nella regia, nella recitazione. Ma tu fai  tutto da solo?”. “Studio tantissimo. Dopo tanti anni  ci metto meno tempo a realizzare uno spettacolo, ma sono molto preciso. E ho bisogno di lavorare con gli altri. Si sente l’apporto energetico che aggiungono. Prima di un lavoro nuovo facciamo sempre una prova aperta con un gruppo di affezionati e scriviamo tutto quello che ci dicono. Quando vado in scena  ho bisogno di sentirmi sicuro, di credere davvero in quello che sto facendo. Ascolto i pareri di tutti, anche di chi non è addetto ai lavori. Ascoltare è il mio segreto. Non molti sono disposti a farlo, a esporsi a critiche, che  poi il più delle volte, si rivelano costruttive e intelligenti. Ho seguito spesso indicazioni di signore o di ragazzi che non avevano esperienza specifica. Così la sera della “prima”, abbiamo già passato un vaglio. Non ce la posso fare solo con il mio gusto e visto che io recito nei miei spettacoli potrei perdermi qualcosa dell’insieme, se non ascoltassi tutti i punti di vista e le angolazioni di tutti gli spettatori.” Mettersi in gioco in vari momenti, anche prima dello spettacolo…. è importante per me. Lo fanno in America, qui ancora non molto, ma devi essere sicuro di te, del tuo gusto, del messaggio che vuoi dare e quando  porti in scena lo spettacolo deve essere completo, definito. Non si può far pagare il biglietto per un lavoro non ancora completato, per uno “studio”.

Il pubblico ha apprezzato molto le attrici con cui lavori: questa volta Sabina Cesaroni e Celeste Bueno. Come scegli gli attori con cui lavori?” “ Mi piace cambiare attrici…..impari moltissimo dalle persone diverse. Hai possibilità di capire nuove sensibilità. Vedo molti spettacoli e mi ricordo di chi osservo. Ho una specie di archivio nella testa e so dove andare a cercare secondo le necessità del testo. Non tutti possono fare tutto. Anche nei miei confronti avverto quando mi chiedono di recitare un ruolo  che non si adatta a me. In questo caso Sabina era sconosciuta ai più, in veste di attrice. E’ conosciuta più come danzatrice, ma qui è una vera rivelazione, è adattissima a questo ruolo, anche per le sue esperienze personali. Come pure Celeste, l’avevo vista anni fa e mi sono ricordato di lei”.

Si parla di scrittura in questo testo. Perché?” “Ho pensato a una passione, ma anche a qualcosa che si porta avanti da soli e che dà energia. Lo scrittore scrive in solitudine, si autoalimenta e più scrive più cresce e si appassiona al suo lavoro. Non sempre è così. Per esempio in teatro non ci si può esprimere da soli”.

La scrittura è un elemento della tua vita”. “Sì è vero, scrivo i miei testi. Mi dedico in modo totale quando accade. Riesco a scrivere una sceneggiatura in due giorni. E’ un’arte che assorbe, che annulla, in cui fai  tutto da solo”.

Il pubblico è stato colpito da questo spettacolo,  un po’ diverso dagli altri, più di analisi interiore”. “Credo che il motivo sia la grande intensità emotiva che passa. Si parla di morire, di paura di morire, di non voglia di morire. La vita è piacevole e  quando la religione non è più tanto forte con le sue promesse di un al di là appagante,  si ha più paura di prima della morte. La passione per qualcosa che scalda l’anima può aiutare a restare vivi fino alla fine. La scrittura è una di queste”.

 

Si ringrazia per la disponibilità all’incontro: Alessandro Riccio, Sabina Cesaroni, Celeste Bueno la Direzione del Teatro e il pubblico presente alla replica del 21 gennaio 2018 presso il Teatro Comunale di Antella