Notte nordica

amazing-736884_960_720

 

Notte bianca del nord – di Nadia Peruzzi

Non te lo aspetti anche se lo hai letto. Lo sai, ma non la immagini così. Siamo ben oltre la mezzanotte e la linea dell’orizzonte è ancora un fuoco che non accenna a spegnersi . Non c’è forza che riesca a spingere il sole  sotto coperta.

Le stelle baluginano senza convinzione, flebili, fioche, sbiadite. La luce che punteggia occidente è così forte che ha la meglio su di loro.

Il giorno non ha nessuna voglia di finire e tu ,come lui, nessunissima voglia di cedere al sonno.

Non è solo lo spettacolo che hai di fronte che ti rende vigile. E’  una energia che non sai di avere, ma si affaccia prepotente, alimentata dalla luce, a tenerti sveglio. Tu sei diventato come il giorno, sei il giorno, sei in grado di percepire la forza della natura con i suoi corsi e le sue regole. Ti senti euforico e insieme consapevole della tua finitezza e della immensità di ciò che ti circonda. Tutto questo ti esalta ma anche un po’, solo un po’, ti spaventa.

Le tue antenne sensoriali ti fanno percepire quello che sai: la luce è la vita .Come un click qualcosa ti è scattato dentro, come una rivelazione.

Dormire a queste latitudini, in estate, lo vivi come una colossale perdita di tempo anche solo nel tuo ruolo di visitatore temporaneo.

La veglia ha la meglio sul sonno e non può che essere così se vuoi  bere a gran sorsi la vita e incamerare  tempo vissuto attimo per attimo prima di precipitare di nuovo nella lunga notte invernale.

Non la vivrai quella notte, ma se fai correre la fantasia puoi immaginarla.

Una immensa coperta di cielo stellato che lentamente avvolge piccoli borghi e città,,spegne i rossi i blu i verde e i gialli delle case lungo i fiumi e i laghi ghiacciati. Ti sembra di vederla mentre  copre tutto con fare protettivo, anche il candido lenzuolo di neve che rallenta i movimenti e ottunde i suoni.

Non resta molto lì, appesa. A oriente una sottilissima lama di luce è pronta  prepotente a farsi strada per far nuovamente parlare di sé !!

 

Quell’attimo bianco in cui ci si innamora

flash-2568381_960_720

 

Flash bianco – di Gabriella Crisafulli

Era il 9 gennaio ed era nevicato. Tutti i programmi andarono all’aria. Si voleva andare a fare una girata ed invece ci trovammo costretti a stare in casa. Si mise su una festicciola danzante per passare il pomeriggio.

Pensando di dover stare fuori all’aperto, mi ero coperta ben bene ed avevo qualche indumento di troppo. Così cercai di adocchiare dove fosse un bagno per togliermi qualcosa, non so, la maglia intima o il golf.

Mi misi a girellare per la stanza sbirciando le porte dell’appartamento. Non volevo chiedere.

Così dopo un’attenta esplorazione senza aver concluso nulla, mi appoggiai ad uno stipite in attesa di venirne a capo.

Dalla parte opposta della stanza c’era un tizio, mai visto e conosciuto, che senza dire una parola mi fece cenno con l’indice in una certa direzione.

Fu così che mi potei liberare di qualche strato di troppo e venni fuori dal bagno con solo la gonna ed una camicetta a righe bianche e nere.

Ero profondamente grata a quel ragazzo che mi aveva tolto da un tremendo imbarazzo in maniera semplice, disinvolta ed anche un po’ sorniona.

Volevo ringraziarlo, ma non sapevo come fare.

Secondo il codice comportamentale di una ragazza meridionale, non è mai lei che rivolge la parola per prima ad un uomo. Così feci quello che mi consentiva la mia morale e cioè mezzo giro di tavolo per avvicinarmi a lui.

Me lo trovai seduto accanto durante un gioco.

Il suo braccio sinistro era alle mie spalle e poggiò per un attimo la mano tamburellando.

La scossa fu fortissima.

Flash bianco.

Innamoramento

1966

Ho perso la memoria

white-smoke-1594533_960_720

Ho perso la memoria – di Roberta Morandi
Fare pulito  intorno, sbiancare il pensiero attivo, resettare il tutto… avviare il nulla, come su un lenzuolo bianco che non si lascia più scrivere né a diritto né a rovescio.
Comincia in sordina con pochi elementi che se ne vogliono andare, difficili da riacchiappare, poi, piano piano ci fai l’abitudine a rincorrere le parole quotidiane. Provo una volta ad acchiapparle, a rinchiuderle nelle scatoline: per un po’  stanno lì ferme, immobili e contente di esser ancora usate… poi, lentamente sfumano. E fin tanto che sono solo parole poco male, le sostituisci con altre o con giri più elaborati in discorsi che diventano lunghissimi e talvolta senza capo né coda, perché troppe sono le parole sfumate, ma quando ad andarsene sono situazioni, avvenimenti, luoghi, ricordi e perfino odori e suoni e sapori…che fare?
Come sostituire parti del tuo vissuto del tuo “te” che sei stata e che ancora sei, nelle  cicatrici che ti porti addosso, che ti senti dentro…non ricordi?
Ecco, percepire questo stato credo sia molto doloroso: come lasciare una parte di sé e aggrapparsi a quella vicina che ancora regge e vuoi a tutti i costi fermarla, così la ripeti una, due, e tante volte, ossessivamente, solo tu sai perché,  gli altri ti guardano, scuotono il capo e ti compiangono: ecco, improvvisamente sai che sei vecchio. I non ricordi ti caratterizzano, ti inquadrano, ti incasellano in uno stato limbico, fatto di sorrisi, di mezze parole e verità sfumate, di condiscendenza, di “prego si accomodi”. Uno stato di biancore non dipinto come la luce negli acquarelli  (il bianco non c’è), tu piano piano sfumi: non ci sei.

Il cinema

abstract-1861464_960_720

Schermo – di Nadia Peruzzi

A volte parete, a volte lenzuolo, più spesso stoffa tesa come si conviene, quasi come fosse base per un quadro tutto da riempire di giochi di colore.

La macchina dei sogni ha bisogno di questo enorme spazio bianco.

Solo così le immagini che scorrono possono prender vita.

Sta lassù alto, quasi incombente. Te lo trovi di fronte appena ti metti seduto e quasi quasi te lo senti addosso, da come è avvolgente. Ha un effetto magico ti cattura anche a luci accese, mentre aspetti che il film abbia inizio.

Cattura e regala emozioni. Consola e rasserena, talora opprime e mette ansia, induce al riso o al pianto. Coinvolge, sconvolge, travolge con le sue storie di tutte le storie e vite di tutte le vite.

Ti senti come Alice trascinata dentro questo mondo parallelo in cui ritrovi anche parti di te stesso.

Non c’è nulla come il cinema. Fantastica invenzione!

Le immagini si rincorrono in questo immenso campo di gioco, colori, personaggi, paesaggi risaltano e quasi quasi sembra che tentino persino di fuoriuscire. E il campo di gioco altro non è che un semplice rettangolo, che semplice non vuole essere affatto visto che un po’ bara in funzione di complessità.

Ama farsi complice di artifizio, restituire la magia della magia, e farlo alla grande !

Non c’è televisione che tenga, ne’ pollici sommati ad altri pollici. La magia del cinema solo il grande schermo ce la può regalare.

Il lago di Como di Gabriella

lake-como-294962_960_720

Quel ramo del lago di Como – di Cecilia Trinci

Gabriella e il suo Lago di Como mi hanno fatto tornare alla mente I Promessi sposi, quel suo incipit inconfondibile, “quel ramo del lago di Como….” e subito dopo, quasi in una apparizione inevitabile, Maria Fazzi, la mia insegnante del ginnasio, che quel libro me lo ha fatto amare 

Era alta.

Severa, elegante, vestita sempre di  marrone, di grigio, di nero e in classe metteva, con umiltà,  un grembiule lucido, allacciato in vita

Aveva i capelli raccolti in alto in una pettinatura rinascimentale, montati come a formare un cuore sulla sommità della testa, senza che mai un pelo sfuggisse via.

Sembrava una fata.

Aveva una dolcezza così sconfinata da sembrare una carezza vivente.

Era una professoressa di lettere che sorrideva, che apriva i libri e leggeva dolcemente la letteratura commentandola e paragonandola alla vita.

Una che diceva:

– Oggi non interrogo perché sono nervosa e il mio umore potrebbe influenzare il giudizio su di voi!

Mi ha fatto amare tutte le storie che ci spiegava.

Manzoni l’ho riletto cinque volte: Renzo, Lucia, L’Innominato, Don Abbondio. Di ogni personaggio  ci faceva capire i lati belli e i lati negativi. Ma faceva il tifo per i coraggiosi e quelli che si schieravano con una qualche morale.

Non parlava mai della sua vita privata, di sentimenti o di altre persone che vivevano intorno a lei.

Stava  con noi in modo esclusivo e sembrava che fosse solo nostra.

Ci sentivamo protetti, compresi, come se ogni mattina  tendesse  un filo di seta con ognuno di noi.

Raramente interrogava. Eppure sapeva chi eravamo, quanto sincero o no  fosse il nostro pensiero, quanta attenzione fossimo disponibili a darle ogni mattina. Non chiedeva.

Lei dava. La conoscenza, la sicurezza, la volontà. Sembrava aprisse ogni mattina il suo bagaglio e lo distribuisse.

Penso che fosse incapace di ammalarsi e non è mai mancata.

Mi ricordo ancora la sua ultima lezione di quinta ginnasio: ci raccontò di Pompei, dell’eruzione del Vesuvio  e di come quella città fosse rimasta intatta, bloccata nel suo ultimo attimo fatale. Ci comunicò quella atmosfera di terrore, di impossibile fuga, di terribile  fine di una intera civiltà, come se fossimo lì davanti alle fiamme, alle grida, alla lava che scendeva sulle case.

Lei raccontava e io pensavo che niente ci appartiene per sempre.

Pensai che anche lei stava sparendo e che quello era il nostro ultimo giorno insieme.

Non l’ho più rivista.

 

« Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. »
(Alessandro ManzoniI promessi sposi1840)