
Tulle sul lago – di Gabriella Crisafulli
Il tulle avvolge la scena, la scherma, la sbianca. Le ombre diventano nulla, i suoni sono ovattati. L’acqua ribolle di nebbia e le imbarcazioni dondolano come culle. A galla fumi di umidità salgono piano piano verso l’alto, mentre il traghetto si avvicina al pontile.
In attesa c’è un gruppetto sparuto di uomini vestiti di scuro, una donna con due bambine piene di sonno e i sacchi della posta.
Ogni giorno si replica la stessa scena, alla stessa ora, con le stesse persone: vengono scambiate parole brevi, secche, a bassa voce, in un dialetto stretto e smozzicato.
Settimana dopo settimana da quelle voci trapela una narrazione ripetuta sempre uguale, sempre diversa. C’è un pathos in ciò che viene detto a cui non si può sfuggire e che rende l’aria tesa.
Il battello rulla nel suo viaggio lungo i rami del lago e in lontananza si aprono quinte di velluto tra le quali si muovono personaggi muti, attori di un silenzio fatto di trame, tradimenti, delitti.
Il nome di Dongo ricorre più e più volte tra una frase e l’altra.
Pontile dopo pontile si sale, si scende, si scaricano i sacchi della posta sulla colonna sonora di discorsi a mezza voce, stando attenti a chi sta vicino.
I segreti sono nascosti in un silenzio interrotto dallo sciabordio delle acque, dalla sirena del traghetto, dal ronzio dei motori, dal tonfo delle passerelle di legno lanciate a riva ad ogni attracco.
Manca la verità di quel passato.
Le orme gelano e tu le segui.