Brina

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LA BRINA – di Elisabetta Brunelleschi

Dell’inverno ciò che più amavo erano i prati ricoperti dalla brina. Da piccola raccoglievo le foglioline d’erba e mi divertivo ad osservarne lo strato di ghiaccio  fino a quando non mi si scioglieva tra le mani.

Nel presente sono invece più rare le occasioni  per ammirare un prato imbiancato dalla brinata.

Gli inverni sono sempre più miti e le rare mattine di gelo si trasformano in una lotta con il tempo da perdere per sbrinare i vetri dell’auto. Di solito il resistente strato di ghiaccio compare una mattina all’improvviso quando ancora non hai acquistato il liquido e magari ti sei dimenticata i guanti da qualche parte! E allora non resta che mettersi lì, con pazienza a grattare via tutto quel bianco mentre l’orologio avanza e le dita si gelano. E la poesia dei prati con la rugiada che il gelo trasforma in bianchi merletti resta solo un ricordo. Perché solo allontanando la fretta e l’orologio si può godere di questa speciale magia dell’inverno.

Accadde per esempio non molti anni fa durante una passeggiata in Val d’Ambra che prati e cespugli interi fossero solo bianchi di brina e ghiaccio. Quella mattina il termometro segnava – 4 e noi, tutti bardati con giacconi, scarponi, guanti e cappelli, ci incamminavamo verso pievi a castelli antichi e sconosciuti.

Iniziamo il percorso circondati dal gelo e sovrastati da un cielo completamente azzurro. Il bianco brillava di un sole ancora freddo. Nessuno parlava, potevamo solo guardare. E come in un attimo tutto intorno mi parve rilucere di azzurro. Sì, proprio così! Il bianco dei cespugli stecchiti, dei prati, dei balzi terrosi risplendeva di riflessi azzurrini.

Miracoli del sole e della brina?

O dell’andare tranquilli, accompagnati dagli affetti, col cuore disposto a ricoprirsi di tenui riverberi? Chissà!

 

Il bianco è un colore strano

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Pagina di Diario di Elisabetta Brunelleschi

Martedì 9 gennaio 2018

Stasera, quando sono entrata nella stanza della scrittura, un vento nuovo mi ha avvolta, è un’aria leggera, calma e rilassante. Dal tavolo apparecchiato tenui colori mi allargano e mi invitano al riposo. È un vento bianco che aleggia delicato tra di noi!

Il bianco è un colore strano.

Sembra vuoto e invece non lo è, perché, e la scienza ce lo insegna, contiene tutti colori. Rosso, giallo, blu, nero, .. tutti!,  ma lì per lì non li vedi perché loro si camuffano, si nascondono, si mescolano e diventano uno solo: il candido, innocente bianco.

Capita che non si pensi al bianco come colore.

Se qualcuno mi domanda qual è il mio colore preferito, io vi rispondo il giallo, il verde, il rosso, che mi esprimono forza, movimento, luce, calore. Ma il bianco proprio, non ve lo rammento.

Eppure stasera, da questo tavolo circondato da sorrisi e sguardi invitanti, si eleva un bianco nuovo che a poco a poco mi scuote e mi porta in spazi larghi e mi fa pensare alle tante esperienze che con il bianco si possono fare.

Mozzarella

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Mozzarella – di Tina Conti

(e cronaca di una serata con le parole scritte nelle bottigliette)

Sul tavolo quasi tutto è bianco, sale fino, e grosso, cotone che ho toccato e strusciato.
Gli occhi guardano, ma in bocca sento ancora tutto il dolce  delle meringhe  ripiene a sorpresa e del tortino all’arancio che non dovrei mangiare ma che invece ho gustato,
gorgogliando per la goduria.
Poi, è stato il tempo della sorpresa: messaggi   rotolati in vetro di barattolo.
Parole veloci  che giravano, e come tutte le parole, sollecitavano ricordi  e pensieri.
Mozzarella, ecco cosa si è fermato nel mio cervello.
No,! tutte cose da mangiare! non me le posso permettere, ho pensato .
Proviamo a smontare la parola: muzzurilla,  mezzi lilla no, no  sento sapore di mozzarella: il mio cervello si è incantato.
Sarà un ricordo troppo forte e recente quasi un incantesimo che ho da poco sperimentato.
Ah,  la colpa è della signora tutta scialli e bracciali che qualche giorno fa ci ha offerto i prodotti della sua fattoria   nel suo agriturismo.
La villa antica nell’ area archeologica di Pestum era ad accoglierci per il pranzo.
La sala con il camino acceso e tanti dipinti di scene di caccia aveva sulle credenze ceste  piene  di agrumi appena colti invitanti e profumati.
La vista e l’olfatto erano già appagati da quelle sensazioni, era ora di assaporare il pranzo. Mozzarella, ricotta e zucca gratinata per antipasto, poi pasta non mi ricordo con cosa, carne di bufala in stracotto con cicoria ripassata  e dolce a cucchiaio con crema di arance.
Le mozzarelle sono in vendita! Ha informato il cameriere.
Il souvenir più gradito della vacanza! Ce le  siamo portate a casa insieme a qualche mandarino raccolto nel parco che ha profumato il viaggio di ritorno.
La signora è tornata per i saluti, “fuori dal frigo mi raccomando le mozzarelle” ci ha detto.
A casa le mie mozzarelle volevano rimanere nella ciotola sulla credenza,  fuori dal frigo, ma sono finite presto in tavola per il pranzo della domenica.

Voglio ricordare

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Voglio ricordare i tuoi occhi verdi – di Sandra Conticini

Voglio ricordarti colorata con i tuoi riccioli castani, il rossetto rosa madreperlato, i tuoi foulard, qualche volta bianchi, ma spesso con bei fiori colorati e con vezzi e orecchini rossi corallo, turchesi, blu.

Non voglio vederti come negli ultimi tempi,  con capelli bianchi,  maglia bianca,  carnato bianco, in quel letto con il lenzuolo bianco, perché molta della tua biancheria era così, mi facevi tristezza.

L’unica cosa rimasta uguale erano i tuoi occhioni  verdi da cerbiatto.

 

Il vestito di San Gallo

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Il vestitino – di Rossella Gallori
La rivedo con il suo chemisieur fantasia, che non conosceva ultimi bottoni, la cinturina stretta in vita, i capelli color cenere, la sua bocca a smerli…ed il suo sorriso, che non son mai riuscita ad imitare, una bocca bella “rossettosa” sotto il  naso a patata…..Con il senno di poi, credo che il suo modo di porgersi fosse una sfida perenne, il suo essere livornese dentro  le faceva celare ad arte quei “ ma ci vai in culo, deh “ che non disse mai , ma credo pensasse sempre….

Arrivò prestino, quella mattina, forse era lunedì, il negozio dove lavorava era chiuso, si era annunciata, una telefonata breve: Rosy , ti porto una cosa …ma sto poco….

Arrivò, profumata, con pochi baci, poche carezze, frutto di quel suo modo strano di pensare, che “se ci son troppe effusioni, poi quando si va via, si sta peggio”. Lo capivo poco allora ed ancor oggi mi resta oscuro: fare a meno di qualcosa oggi, per non sentirne la mancanza domani…..

Aveva tra le mani bianche smaltate, che il tempo ed il lavoro sembravano  non aver sciupato, un pacchettino piccolo, quasi non la lasciai entrare, non mi preoccupai né della sua giacca né della sua borsa, lo afferrai ed andai ad aprirlo in camera. I regali amo aprirli da sola, come un topo porta il formaggio nella tana, per gustarselo meglio…..

Alice, mia figlia, sarebbe arrivata con il freddo ed il Natale alle porte, dopo anni di non attesa, perché  io volevo essere figlia più che madre, orfana ma non troppo.

Lo aprii, tolsi la carta velina bianca…..cadde una piccola foto, foto in bianco e nero datata 1907 …lo riconobbi subito, era mio padre…piccolo, piccolissimo di mesi….sorretto da una zia Teresa, di cui avevo sentito parlare nel gracidare della nonna  “ Teresa modista un po’ artista”.

Bello, una nuvola bianca, un bimbo di porcellana sorretto da scarpine da bambolotto, tenero, vivo, presente……e tra la carta velina, riapparve lui,  il vestitino di San Gallo, bianco e ben stirato consumato dagli anni, reduce da due guerre , senza medaglie, ma con tanto onore…..

Lo aveva conservato per me…per una creatura che sembrava non aver fretta….mia madre aveva conservato qualcosa !??????

Stentavo a crederlo aveva conservato una cosa non sua, forse sottratta per consegnarmela …eppure l’avrei dovuto riconoscere, anche il figlio di mio fratello lo indossava 15 anni prima, invece lo vedevo per la prima volta quel cencino prezioso…..lo guardavo per la prima volta…ora, era mio ….è mio ….

Elencava la mamma  gli anni in cui era stato usato:  1907    –  1939 –  1942 –  1944       1946 – 1951  –  1968  …..  e poi……

Nel 1983 è nata Alice, lo ha indossato un po’ controvoglia forse …le avevo trovato anche il cappello, che poi è andato perso. Son già passati 35 anni  …e bianco lui non è più e più  che San Gallo, sembra tulle …una bianca fetta di groviera….piena di piccoli buchi ….ma porta bene i suoi 111 anni, non se ne vergogna, stropicciato  nella sua pochette di seta bianca…..”non lo lavare…non lo  stirare…..non lo inamidare”……!!!!!!

PS: no, non faccio niente di tutto questo….mi deve sopravvivere,  sarà il ricordo di tante vite, una nuvola bianca che ci ha  protetto, sorretto, corretto….un cencino bianco pieno d ‘ amore, che ha superato guerre, malattie, grandi gioie ed immensi dolori….ed è riapparso quando io, con una certa lentezza ho iniziato a fidarmi di voi, a volervi ed a volermi un po’ più bene…..mostrandovi una parte di me…..la mia parte b i a n c a……

Ricordo bianco

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Quando nevicava – di Cecilia Trinci

Su da noi, d’inverno, la neve scendeva spesso e quando succedeva durava almeno tutto il giorno, finché non si calmava il grecale, le finestre smettevano di soffiare e tutto finalmente taceva, in attesa della  gelata notturna. Se c’era la luna i bracconieri ne approfittavano per andarsene a caccia, profanando di spari vigliacchi  il candore del bosco. Arrivavano, allora, anche le notti di silenzio sotto il piumone, dopo la cena davanti al camino, alla luce del fuoco, mentre la bufera rimaneva fuori, senza lampioni, sotto le stelle appuntite e la luna spadellata sugli alberi neri.

La notte era notte, lassù. Stelle pungenti, lune enormi e bianchissime che salivano su dal bosco e che a guardarle a testa in su ti schiacciavano, luccicar di lumini tremolanti laggiù, in lontananza, dove pulsava la città. E animali. Volpi, caprioli e cinghiali, allocchi e barbagianni, upupe e corvi, istrici e lepri…..che si manifestavano in ombre mobili e scure o fruscii al di là della finestra, presenze percepite o apparizioni improvvise nei piccoli lampi di una luna piatta. Bianchissima.