
LA BRINA – di Elisabetta Brunelleschi
Dell’inverno ciò che più amavo erano i prati ricoperti dalla brina. Da piccola raccoglievo le foglioline d’erba e mi divertivo ad osservarne lo strato di ghiaccio fino a quando non mi si scioglieva tra le mani.
Nel presente sono invece più rare le occasioni per ammirare un prato imbiancato dalla brinata.
Gli inverni sono sempre più miti e le rare mattine di gelo si trasformano in una lotta con il tempo da perdere per sbrinare i vetri dell’auto. Di solito il resistente strato di ghiaccio compare una mattina all’improvviso quando ancora non hai acquistato il liquido e magari ti sei dimenticata i guanti da qualche parte! E allora non resta che mettersi lì, con pazienza a grattare via tutto quel bianco mentre l’orologio avanza e le dita si gelano. E la poesia dei prati con la rugiada che il gelo trasforma in bianchi merletti resta solo un ricordo. Perché solo allontanando la fretta e l’orologio si può godere di questa speciale magia dell’inverno.
Accadde per esempio non molti anni fa durante una passeggiata in Val d’Ambra che prati e cespugli interi fossero solo bianchi di brina e ghiaccio. Quella mattina il termometro segnava – 4 e noi, tutti bardati con giacconi, scarponi, guanti e cappelli, ci incamminavamo verso pievi a castelli antichi e sconosciuti.
Iniziamo il percorso circondati dal gelo e sovrastati da un cielo completamente azzurro. Il bianco brillava di un sole ancora freddo. Nessuno parlava, potevamo solo guardare. E come in un attimo tutto intorno mi parve rilucere di azzurro. Sì, proprio così! Il bianco dei cespugli stecchiti, dei prati, dei balzi terrosi risplendeva di riflessi azzurrini.
Miracoli del sole e della brina?
O dell’andare tranquilli, accompagnati dagli affetti, col cuore disposto a ricoprirsi di tenui riverberi? Chissà!




