
La maternità è bianca, come una sposa – di M.Laura Tripodi
Caro E.
L‘altra notte non riuscivo a dormire. La notizia che mi hai dato ha sortito l’effetto di una bufera in piena estate. Non è che non sia contenta, ma succede a volte che un profumo, un colore o una novità, per l’appunto, ti facciano rivedere tutto il tuo trascorso e anche se non vuoi ti metti a fare i bilanci.
Mi è venuto in mente che il cammino di tutti noi è un succedersi di distacchi dolorosi. Si comincia dalla nascita, quando il cordone ombelicale viene reciso e ci separiamo dal ventre di nostra madre e la prima cosa che facciamo, subito dopo, è piangere. Allora vuol dire che siamo vivi e che i polmoni cominciano a funzionare.
Mi sono sempre rammaricata del fatto che non sono stata io la prima a vederti, ma tutti dicevano che eri bellissimo!
Il giorno dopo il parto un’infermiera ti ha appoggiato sul mio letto e se n’è andata. Non mi potevo muovere perché avevo la flebo attaccata, ma tanto tu dormivi .
Quindi eri tu che facevi tutto quel casino dentro la mia pancia! Ed era vero: eri bellissimo!
Sono stata a guardarti rapita dalla tua perfezione. Avevo gli occhi pieni di lacrime di felicità, avrei voluto abbracciarti, carezzarti, baciarti, coccolarti, ma il dolore della ferita e l’ago della flebo mi impedivano qualsiasi movimento. Dentro di me invece c’era una grande esplosione di musica, risate, canti e balli.
Ti guardavo e mi sembrava che quello che ci aveva legato per nove mesi si sarebbe ripetuto all’infinito, amplificandosi nel tempo.
Ma sto divagando.
Penso di aver fatto una meravigliosa esperienza con te: me la sono vissuta in tutta la sua completezza con la gioia di esserci quando ne avevi bisogno e la discrezione di stare a distanza quando l’istinto mi suggeriva di rimanere in disparte. Ma sempre all’erta perché ho pensato che crescere con te, senza presunzione, fosse una buona strada da percorrere.
Il cammino della crescita è cosparso di ostacoli, insidie e insicurezze, e poi ci sono i distacchi.
Il primo giorno che sono tornata al lavoro dopo la maternità piangevo come una vite spezzata, come se invece che dopo qualche ora ti avessi dovuto rivedere dopo secoli. E il tuo primo giorno di asilo nido? Non riuscivo a scollarmi da quella porta: dovevo spiare le tue reazioni, essere sicura che saresti stato bene. E se le maestre non fossero state brave? E se i bambini più grandi ti avessero picchiato?
E poi ci sono stati i distacchi più duri, quelli in cui ho dovuto prendere atto delle tue conquiste senza essere preparata a riconoscerle. Tutte le volte che chiudevi un passaggio della tua vita io arrivavo in ritardo. Come se non fossi mai stata pronta.
Forse non lo sono nemmeno ora eppure sei uomo fatto!
Candidamente mi hai detto: “Mamma, a settembre mi sposo. Mi accompagni all’altare?”
E una vocina gracchiante ha sussurrato nella mia testa : “Come, di già?”
In fondo questo è il distacco più importante, quello vero, perché da adulto ti sei scelto la compagna con la quale percorrere un cammino indipendente dal mio e il ciclo della vita ricomincerà da capo con te che sarai padre oltreché figlio.
Ma non voglio portarti all’altare nel modo classico. Vorrei che andassimo insieme tenendoci per mano perché questo distacco sia il simbolo che ti sto accompagnando per lasciarti accanto alla donna che condividerà il tuo cammino, da ora in poi.
Mamma
BIANCO – di Lorenzo Salsi





