Il cartamodello

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Ma…..Il cartamodello non era bianco? – di Tina Conti
Ricordo che andavo in Via Nazionale portandomi dietro  una rivista  di moda che avevo ben studiato e quando uscivo portavo questa nuvola bianca: il cartamodello incartato nella velina. Per strada  facevo attenzione.   Lo portavo come fosse un oggetto prezioso e fragile cercando di non scontrarmi con nessuno altrimenti  non avrei saputo bene come presentarlo alla mamma e giustificarne il costo.
La bottega della modellista di abiti era piena di veli bianchi:  i modelli in carta velina o tela trasparente appesi su grucce e ganci, servivano per abiti, giacche, cappotti  e cambiavano  ogni stagione.
Se trovavo qualcosa che mi piaceva di più  nelle riviste sul tavolo  del negozio, cambiavo idea, altrimenti mi facevo preparare il modello scelto  sulla rivista  che veniva adattato  alla mia taglia.
Una volta scelto  il modello si doveva essere sicuri perché l’investimento era importante: allora si facevano pochi capi e dovevano durare .
Fino ai 16,17 anni la stoffa era spesso di recupero, a volte si rivoltava un capo e si usava per nuovi abiti (nuovi per modo di dire perché c’era sempre il problema  degli occhielli che non tornavano). Poi è venuto il giorno dei vestiti di stoffa nuova.
Un giorno sono andata con la mamma nell’ingrosso di stoffe di sua fiducia. Lei conosceva un commesso occhialuto e rotondetto e io avevo le idee chiare per un  vestito smanicato bianco e un cappottino viola-lilla.
La mamma  nel negozio soppesava e accarezzava la stoffa con gesti esperti da sarta scaltra  poi, veniva il momento della scelta. Lana buona, di qualità…. poteva andare.
Il cartamodello fatto su misura questa volta era di telina, dato che l’occasione era importante
Quante cose ho dovuto fare in casa per sollevare la mamma dai suoi compiti e lasciarle il tempo per lavorare al mio completo.
La mamma era brava e il lavoro di sarta le piaceva molto, in poco tempo tutto era pronto. Io nel frattempo sono andata dalla mamma della Lory che faceva la modista e mi sono fatta insegnare a cucire un cappellino nero di velluto modello fantino. Non so quante uscite ho fatto orgogliosa di quei vestiti nuovi e tanto desiderati.
A fine stagione portai tutto in lavanderia perché in casa cose così preziose non si potevano  lavare, ma
quale è stata la mia delusione, quando ho ritirato gli abiti! Tutto  era scolorito  e accorciato, le fodere uscivano dal fondo: un vero disastro! avevano fatto un lavaggio ad acqua  e si era rovinato tutto.
Vane furono tutte le proteste della mamma! Alora non si parlava di assicurazione  e non mi rimase che il ricordo delle uscite  e la speranza  di una nuova occasione  per convincere la mamma a fare per me nuovi abiti.

Bianco abbagliante

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La notte bianca – di Aldo Bombaci

Eccomi qua, sorprendentemente sveglio nel mezzo della notte a scrivere!

La cosa più naturale che potessi pensare nell’attribuire una qualche associazione a riflessioni o cose sul colore bianco  è la neve, i campi imbiancati dalle brinate stimolanti al romanticismo, il cielo coperto da nuvole bianche, o quando diventa plumbeo come se il bianco fosse stato macchiato da gocce d’inchiostro nero, oppure il mezzo busto di marmo di Fata Morgana del Giambologna al Bargello. Questi ed altre decine di suggerimenti potrebbero via via presentarsi ai miei occhi, o scaturire dalla mente, ma non  avrei mai immaginato che a darmi uno spunto collegato a quella parola così chiara, così accesa, abbagliante, come sa essere il bianco, da tenermi con gli occhi spalancati come quelli del gufo di notte, fosse il trascorrere la nottata bianca.