Un presepio vero, lontano, in Africa

Dal diario di Roberto Zatini, dal Burkina Faso, in vista del Natale
La parola villaggio risveglia nella mia mente viziata gli echi natalizi. 
Formavano piccoli villaggi quelle casette di sughero e cartone  colorato che piazzavo quando facevo il presepe sui monti di cartapesta intorno alla grotta dove la stella cometa segnalava il luogo dove era nato il Salvatore del mondo. Fuori le donne facevano il pane e lavavano i panni. Gli uomini battevano il ferro e zappavano l’orto. 
Tutti presi dal lavoro quotidiano non sentivano la voce dell’angelo di gesso col vestito azzurro che annunziava agli uomini di buona volontà che era nato il Salvatore. 
Solo i pastori, abituati ad ascoltare la voce del vento e a guardare lontano, camminavano verso la luce. 
I magi sarebbero venuti solo alla fine, quando tutto era già accaduto.  
Pensavo a quei villaggi, mentre la Land Rover andava, cercando la pista meno devastata dalle piogge portatrici di vita e distruzione. 
Scansava, procedendo sobbalzando,  zebù e capre, maiali e galline, cristiani e asini.  Passava fra i radi  cubi di fango coperti da lamiere ondulate fermate con sassi  rossi di minerale ferroso, che sono le case da queste parti. 
Sono alti forse due metri e i lati poco più. Dentro forse c’é un giaciglio. Si vive fuori, dove sono i tre sassi su cui si appoggiano le pentole e il mortaio dove pestare il miglio.
Sono uscite da queste capanne le persone che aspettano suor Bartolomea nel suo ambulatorio. 
Scarichiamo la cassetta di metallo verniciata di verde che contiene il suo armamentario. 
Deve medicare piaghe, incidere ascessi, palpare ventri gonfi. Polverine, pomate, pasticche. 
Un asinello è immobile nell’ombra rada di un alberello spinoso. Due capre brucano l’erba secca. 
La vecchia a cui è stato inciso l’ascesso viene aiutata a risalire sullo scooter del giovane che l’ha accompagnata. Il mezzo non entra in moto e la donna rischia di cadere. Come sarà la sua casa? 
Un gruppetto di bambini si avvicina. Scalzi, cenciosi, polverosi. Il più piccolo piange. Non vede spesso uomini bianchi. Nasara. Nasara. 
Chiedo i loro nomi. Bruno, Assunta. Non so più dove sono. Sono tornato a casa, forse. 
Qualcuno non riesce a fare uscire la voce. 
Vorrei che urlasse. Che lo sentissero in tutto il mondo. Che la sua voce arrivasse a Trump e Putin, ai potenti della terra. Anche a Salvini vorrei che arrivasse e a tutti quelli che vogliono chiudere le porte della loro casa. Non si ferma l’acqua con le mani. 
Lo sentono solo una suorina partita dalla Sardegna e le sue consorelle e tante altre persone di buona volontà. Li sente Suor Cristina della Fraternitè di Emmaus  che viene dal golfo di Sorrento e  dà una luce sotto la quale studiare e una lavagna circolare grande quanto il suo coraggio di donna ai ragazzi che vogliono imparare come si diventa grandi senza dover partire per altri mondi, ma anche a chi vuol tornare dopo essere partito, perché nessun luogo è come casa nostra.
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Autore: lamatitaperscrivereilcielo

Lamatitaperscrivereilcielo è un progetto di scrittura, legata all'anima delle persone che condividono un percorso di scoperta, di osservazione e di ricordo. Questo blog intende raccontare quanto non è facilmente visibile che abbia una relazione con l'Umanità nelle sue varie espressioni

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