Tutti dobbiamo andarcene, e lei, quasi senza disturbare, se n’è andata, in quel pomeriggio sereno e fresco di ottobre.
Da qualche mese, ogni tanto, la sua mente volava tra sogni e incubi che le facevano fare gesti strani, inusuali e lontani dal reale.
Da poco era stata ricoverata in una casa di cura e quel pomeriggio ero andata, come ogni giorno, a trovarla. Stavamo camminando verso il giardino quando ha detto:
“ Torniamo dentro, ho mal di stomaco”. Siamo tornate indietro e c’erano due sedie nel corridoio: “Mi sento male, vo a sedere su quella seggiola”
Ci siamo sedute, lei si è lamentata ed ha piegato testa e busto verso il basso come scossa da un conato di vomito. Poi si è accasciata all’indietro, sulla spalliera della sedia, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Respirava a fatica e io le ho poggiato una mano sul petto: il cuore mi pareva stesse ancora battendo, ma lei non rispondeva più. Una mano le è scivolata giù, mollemente, senza forza, l’ho presa, era morbida come insensibile, gliel’ho appoggiata sul ventre.
Il giorno prima, quando ero passata a trovarla, mi ha chiesto: “Dov’è il cane? Lindoro!”
E con un gesto di stizza ha piegato la testa e dopo un singhiozzo, ha pianto ed anch’io, un po’ di nascosto ho lasciato che mi scendessero le lacrime.
Lindoro, il cane di famiglia, non esiste più da oltre settantanni. La sua cuccia era in giardino, sotto il tavolo tondo che ancora oggi esiste. Fra la siepe di raspo e le rose dello ‘zio Nanni’ fa bella mostra di sé il suo piano in granito sostenuto da una gamba centrale cava all’interno: ed è lì che dormiva Lindoro.
Pochi secondi e ho richiamato l’attenzione di un inserviente. È arrivato l’infermiere, l’hanno portata in una cameretta a pian terreno, c’era un letto libero.
Pensavano di doverla ricoverare in ospedale. Sono giunti l’ambulanza, il medico di guardia, …
Ancora qualche minuto e l’infermiere è venuto a dirmi: “È in arresto cardiaco, cerchiamo di rianimarla!”
Ecco è così, dalla nascita alla morte, come in un attimo.